Per Banca Etruria emerge una perdita di 400 milioni
Banca Etruria valuta nuovi tagli

Ancora nessun commento

Una cifra trapela dal religioso silenzio seguito al commissariamento della Banca Popolare dell’Etruria: 400 milioni. Sarebbero queste le dimensioni della perdita, per ora «congelata», che emerge dal preconsuntivo 2014. E intanto sembra delinearsi sempre più chiaramente il motivo principale del blitz della Banca d’Italia: il mancato rinnovamento e rafforzamento della governance.

È mercoledì 11 febbraio e in una sola giornata è come se il vertice della banca rivedesse in rapida sequenza i fotogrammi di anni di gestione fuori controllo, prima di arrendersi all’«occupazione» di Via Nazionale. In poche ore di un mercoledì nero tutti i nodi vengono al pettine.
Anche, e soprattutto, il nodo di chi siede nelle poltrone di vertice: il presidente Lorenzo Rosi, i vicepresidenti Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre del ministro per le Riforme, Maria Elena. La funzionaria di Bankitalia che con spiccato accento romano comunica l’imminente commissariamento davanti agli occhi sgranati dei 15 consiglieri, fa esplicito riferimento alle lacune della governance. A tutti i livelli, ovviamente, anche nella struttura manageriale e direttiva. Ma gli sguardi e i calcoli sono tutti per i tre al vertice della piramide. Il presidente (dal 2014) è in carica come consigliere e membro del comitato esecutivo dal 2008, Boschi è in cda dal 2011 e Berni è stato direttore generale dal 2005 al 2008. I primi due sono esponenti della componente cattolica di maggioranza, il terzo del nucleo laico-massonico. Tutti entrati ben prima delle ispezioni seriali (2012-2013-2014) di Bankitalia, da cui sono emerse gravi violazioni nella gestione. E che hanno fatto scattare le sanzioni anche per i tre al vertice.
La scorsa primavera, si racconta, la banca era già a un passo dal commissariamento. Se l’allora presidente Giuseppe Fornasari si fosse ricandidato probabilmente il provvedimento sarebbe scattato molto prima. Fornasari era indagato per falso in bilancio dalla procura di Arezzo insieme all’ex direttore generale Luca Bronchi. Il nuovo presidente Rosi, pur se molto stimato in città, era comunque considerato un «delfino», una scelta in continuità. E i due vicepresidenti «brave persone della vecchia guardia». E invece l’assemblea del maggio 2014 doveva essere quella della totale rottura con il passato, a prescindere dalle responsabilità. Due cifre per dare un quadro sintetico: tra il 2009 e il 2014 la banca ha speso 14 milioni per retribuire consiglieri e sindaci a fronte di perdite accumulate per 400 milioni (considerando i «soli» 126 milioni di rosso ufficiale nei 9 mesi dello scorso anno). Effetto di un portafoglio crediti carico di «cadaveri». Dal 2008 non c’è dividendo. L’ex direttore generale Bronchi ha avuto uno stipendio in progressiva crescita da 420 a 630 mila euro annui ed è uscito lo scorso agosto con un «regalo» di 1,2 milioni di euro. Insomma, la ramazza nella governance doveva essere ben più incisiva.
E poi, anche questo dice la funzionaria di Bankitalia, la Popolare Vicenza aveva presentato un’offerta che non è stata sottoposta all’assemblea dei soci. Argomento spinoso perché poi la Popolare Vicenza ha fatto i salti mortali per mettere in «assetto Bce» il patrimonio ed è uscita dal 2014 con 497 milioni di perdita consolidata. Certo, l’Opa a 1 euro (con le Etruria a 0,75 euro) proposta l’anno scorso è forse un’occasione persa col senno di poi. Ma è utile ricordare che ci fu la netta presa di posizione, addirittura con una nota, di un personaggio di grande influenza nella città toscana come Giuseppe Fanfani, sindaco fino a pochi mesi fa: «Banca Etruria non si tocca, non può diventare una filiale della Popolare di Vicenza». Il renziano Fanfani, nipote dello storico leader democristiano Amintore, è stato nominato lo scorso settembre membro del Csm in quota Pd. L’elenco dei motivi che hanno indotto Bankitalia a prendere le redini dell’Etruria viene letto nel silenzio totale del consiglio dell’11 febbraio. Ma qualche ora prima, quando nessuno ipotizzava il licenziamento, gli amministratori avevano esaminato il preconsuntivo del bilancio 2014. Secondo fonti presenti alla riunione, a fronte di 620 milioni di ulteriori accantonamenti è emersa appunto una perdita nell’ordine di 400 milioni. Cifra enorme, se confermata, per una banca locale e tutto sommato di piccole dimensioni (186 sportelli, 1.800 dipendenti). Ma doveva essere la definitiva spallata al passato, un punto e a capo, nonché un messaggio a Bankitalia che, per altro, aveva gli ispettori insediati negli uffici della sede dell’Etruria. Tutto inutile perché a metà pomeriggio arriva la doccia fredda. Convergono ad Arezzo commissari, consiglieri di sorveglianza e funzionari di Bankitalia. A consiglio aperto una rappresentante della delegazione legge il documento con le «accuse» e poi chiude con le parole chiave: «Ora i commissari devono prendere in consegna l’azienda». Buonasera e tutti a casa.
Ma già un’altra tegola si è abbattuta sul gruppo: le perquisizioni della Guardia di Finanza e un’indagine della procura di Arezzo per una maxi truffa sull’Iva del commercio d’argento. Tra gli indagati vi sarebbe anche Plinio Pastorelli, amministratore delegato di Oro Italia Trading, un gigante nel commercio di metalli preziosi da quasi 500 milioni fatturato e totalmente controllato da Banca Etruria.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI