Popolare di Vicenza: adesso più vicini a Veneto Banca
Banca Popolare di Vicenza fa il bis in Puglia

Ancora nessun commento

Gianni Zonin dal 1995 presiede la Popolare di Vicenza. Uno dei tre istituti più colpiti dal decreto Renzi. La banca — 5.500 dipendenti, 640 agenzie, 117 mila soci e 1,3 milioni di clienti — ha struttura cooperativa e non è quotata in Borsa.

Presidente, è finito un mondo…
«Sì, è finito un mondo. Noi cercheremo di far sì che non finisca completamente, che 170 anni di storia del credito cooperativo e popolare non vengano cancellati. Questo mondo è stato determinante nella crescita delle aziende italiane e delle pmi in particolare. Non ce lo meritavamo».
È reduce dalla riunione di Assopopolari. Qual è la posizione dell’associazione?
«Siamo accomunati da una grande preoccupazione, quasi increduli. È stata una scelta politica».
Da fuori l’impressione è che si sia perso del tempo, l’occasione per una seria autoriforma del settore.
«Forse c’è stata una colpevole inerzia da parte del mondo delle popolari. Noi a Vicenza però avevamo già allo studio un progetto di modifica dello statuto, che avrebbe portato a uno scorporo della attività bancaria pura, dove alla cooperativa sarebbero rimasti gli asset immobiliari, il patrimonio artistico e alcune partecipazioni, mentre un’altra società, per metà della cooperativa e metà aperta al mercato, avrebbe gestito il business bancario…».
Si aspettava un provvedimento legislativo di questa portata?
«È stato un colpo al cuore a tutto il sistema delle popolari. Credo che nessuno potesse attendersi disposizioni così forti. Ho stima di Renzi, ne apprezzo la coerenza, ma stavolta mi ha sorpreso. Il premier dice sempre che ascolta tutti e poi decide da solo. Bene, stavolta non ha ascoltato la voce delle parti interessate. Si sarebbe potuto capire meglio cosa valeva la pena di salvare e cosa rottamare. Confido ci siano dei margini di intervento prima dell’approdo nell’aula parlamentare».
Vicenza è costretta a cambiare. Cosa vuole dire ai soci della banca?
«In venti anni la banca è stata protagonista di una crescita importante, da istituto provinciale a nazionale. Abbiamo aiutato le aziende a crescere, abbiamo contribuito alla modernizzazione del Nordest e tenuto duro nella crisi, aumentando le erogazioni quando gli altri chiudevano i cordoni della borsa. Abbiamo salvato molte aziende dalla chiusura e qualche imprenditore da gesti inconsulti. Abbiamo la coscienza a posto e ci sentiamo banca dei territori, vicini alle persone e alle aziende. Ora, la cultura anglosassone penalizza le pmi. Noi no, staremo dalla loro parte, almeno fino a quando ce lo lasceranno fare».
La trasformazione in Spa avvicina la sua banca alla quotazione in Borsa?
«Non ho mai pensato alla Borsa e personalmente non sono favorevole. La logica delle trimestrali penalizza non solo il lungo ma anche il medio periodo. Io sono un imprenditore e non potrei pensare una strategia di breve periodo. Inoltre, la Borsa è un mercato capriccioso, guardate cos’è successo alle banche quotate nelle ultime sedute. No, non sono favorevole per una Banca popolare».
La trasformazione in Spa porterà a galla il problema del valore delle azioni. Come lo supererete?
«Il colpo al cuore è ancora troppo recente. È francamente molto prematuro pensare a questo, ma le assicuro che combatteremo, per difendere i soci, i dipendenti, i clienti».
Si riavvicina la stagione del risiko. Torna a galla l’ipotesi di fusione con Veneto Banca. Secondo lei è una strada ancora praticabile?
«Non so se la Bce sia più interessata ad aprire il capitale ai grandi investitori o al risiko. Non lo so. Credo noi si debba guardare più cose. Certo, le aggregazioni appaiono più facili nel mondo delle popolari. Con Veneto Banca abbiamo il sistema informatico in comune. Ma vogliamo anche tutelare il lavoro e allargarci a nuovi mercati. L’aggregazione non deve indebolire».
Ha sentito il presidente di Veneto Banca, Francesco Favotto?
«L’ho visto di corsa alla riunione di giovedì di Assopopolari. Abbiamo rapporti buoni. Lo trovo una persona molto equilibrata, molto valida, seria, concreta».
Un anno fa lei posizionò la Vicenza come soggetto aggregatore. In un anno avete visto molti dossier, ma non avete comperato nulla…
«Se ci sono buone opportunità, difficilmente me le lascio sfuggire. La brutta figura con i soci, i dipendenti, i clienti, si fa quando si compera male, non quando si lascia un cattivo affare. E finora abbiamo sbagliato poco».
La Bce ha fatto pressione perché, anche voi, procedeste a una accurata pulizia di bilancio, svalutando molte poste. Come ha chiuso l’anno la Vicenza?
«È presto per dirlo con precisione. Di sicuro la Bce ha una politica diversa dalla Banca d’Italia. Nel nostro bilancio i crediti concessi sono garantiti da importanti diritti ipotecari. Ora, Bce considera quasi nulle queste garanzie: necessariamente dovremo tenere conto di questo nella chiusura di bilancio».
Tornerete a pagare la cedola?
«Anche questo è prematuro. La trasformazione in Spa rende confuso l’orizzonte. È un momento in cui dobbiamo aumentare il patrimonio, non diminuirlo. La questione dividendo sarà di competenza del consiglio, ma io non mi sentirò di insistere con il cda per la distribuzione di una cedola. Dobbiamo ancora mettere fieno in cascina, rispettare le indicazioni della Bce. Il 2014 è un anno di passaggio, il 2015 invece si è già aperto positivamente, peraltro anche grazie a qualche interessante potenziale plusvalenza. Come ad esempio la partecipazione in Icbpi che stiamo valutando di cedere. Guardiamo avanti».

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI