Ripensare la Pasqua ai tempi del Coronavirus
Anche se quest’anno, per motivi legati all’emergenza coronavirus e al distanziamento sociale, si assisterà probabilmente a un calo delle vendite di agnelli e capretti è opportuno sottolineare che, secondo Confagricoltura, il 90% di nascite e crescite di questi animali sono programmate proprio per il periodo pasquale e di conseguenza è obbligatorio insistere con lo sforzo di ripensare subito questa tradizione gastronomica.
Auguri di Buona Pasqua

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Anche se quest’anno, per motivi legati all’emergenza coronavirus e al distanziamento sociale, si assisterà probabilmente a un calo delle vendite di agnelli e capretti è opportuno sottolineare che, secondo Confagricoltura, il 90% di nascite e crescite di questi animali sono programmate proprio per il periodo pasquale e di conseguenza è obbligatorio insistere con lo sforzo di ripensare subito questa tradizione gastronomica.

Quei 2 milioni e mezzo di agnelli e capretti macellati nel 2019 in Italia (Istat), moltissimi dei quali per celebrare la Pasqua, lo devono essere davvero? Ogni anno? E in virtù di quale precetto?

Non certo quello religioso, poiché, come ha spiegato il pontefice emerito Benedetto XV nell’Omelia del Giovedì Santo del 2007 […] Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato sé stesso, il suo corpo e il suo sangue […] Egli stesso era l’Agnello atteso, quello vero […]. E come spiegano anche le risposte su Famiglia Cristiana dell’Arcivescovo di San Giovanni Rotondo e di Don Antonio Rizzolo, che conferma “La tradizione dell’agnello a Pasqua non ha nessuna argomentazione teologica sostenibile, perché la tradizione cristiana non è fondata sui sacrifici degli animali che non solo sono inutili, ma addirittura crudeli e sicuramente lontani dall’idea di amore e compassione verso tutti gli esseri viventi”.

Quindi non è un obbligo, per credenti e non credenti, ma una scelta, il mangiare l’agnello. 

E se, in una situazione di quasi uscita dal grande shock della pandemia – evento catastrofico che ci fa vedere tutta la nostra fragilità collettiva – usassimo proprio la ricorrenza pasquale per ripensare il nostro atteggiamento nei confronti degli animali e del Pianeta?

E se, partendo dagli agnelli bloccati nei camion e ai macelli anche tre giorni a soffrire – se possibile, ancora di più del solito – per un nostro capriccio culinario, guardassimo alla natura e al nostro dominio con occhi diversi?

Possiamo rendere questa crisi un’opportunità per riconnetterci con l’ambiente e con gli animali, che abbiamo resi vettori di malattie terribili, e comprendere che questa non è stata e non sarà l’unica pandemia perché sappiamo, già da tempo, che il riscaldamento globale – tra gli altri infausti eventi – causato anche dalle produzioni animali, favorisce la diffusione malattie.

Possiamo sfruttare questa emergenza e vederla come il momento per indirizzare le nostre vite e le istituzioni verso uno stile di vita più empatico, più lungimirante e cosciente dell’impatto nefasto che stiamo causando anche su noi stessi, con il nostro voler dominare tutto.

Ripensiamo la Pasqua, rendiamola senza crudeltà e scegliamo una tavola 100% vegan: solo così possiamo dirigerci verso un futuro possibile (non un futuro che si limiti a essere probabile) guardando con occhi nuovi e consapevoli quella che sarà una vera rinascita.

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