Se il credito comincia a viaggiare in compagnia

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Le assicurazioni assomigliano sempre di più a quelle belle signore che sono molto corteggiate ma non si concedono. Nei maggiori paesi europei, forse con la sola eccezione della Germania dove la situazione è diversa, ha preso quota il dibattito su come mobilitare a favore dell’economia le riserve racchiuse nei forzieri delle compagnie che con 8,5 trilioni di euro di attivi gestiti sono di gran lunga i maggiori investitori istituzionali dell’Unione.
La tentazione
In tempi di stagnazione economica e di credit crunch persistente, la possibilità di orientare anche una piccola parte di questa enorme massa di capitali verso investimenti produttivi, come il finanziamento delle infrastrutture o delle piccole e medie imprese, rappresenta non solo una forte tentazione per governi sempre più in affanno rispetto alla gestione della crisi, ma anche una soluzione ottimale sotto il profilo della analisi economica. Gli economisti, infatti, concordano sul fatto che la struttura finanziaria europea, dove mediamente oltre il 50% dei prestiti alle imprese proviene dalle banche (30% degli Usa), costituisce una anomalia da correggere. Le assicurazioni però resistono — non senza qualche ragione — di fronte a quello che, per restare nella metafora, è diventato un corteggiamento sempre più insistente. In un rapporto recente («Funding the future, insurer’s role as institutional investors») la federazione degli assicuratori europei stima che nel prossimo triennio il fabbisogno di capitale dell’economia Ue, che ammonterà a 4-5 trilioni di euro, non potrà essere soddisfatto attraverso il credito bancario, i cui tassi di crescita sono strutturalmente decrescenti. Le compagnie sono disposte a coprire questo gap ma fissano alcuni paletti che in estrema sintesi si possono riassumere in una richiesta di allentamento dei lacci regolamentari, in particolare una revisione dei requisiti di capitale previsti dal nuovo regime di solvibilità «Solvency II», e agevolazioni fiscali sui prodotti. Al di là delle rigidità tattiche, governi e assicurazioni sembrano destinati tuttavia a trovare un punto di incontro a metà strada tra la necessità di ridurre la eccessiva dipendenza dell’economia europea dal credito bancario (che ha comunque gradi diversi tra i paesi) e l’esigenza di non mettere a rischio la stabilità delle assicurazioni, finora ancorate a una politica d’investimenti molto prudente.
E così, da un lato vediamo che l’Ocse (rapporto sui «Principi per gli investimenti di lungo termine») e la Ue (l’ultimo Green Paper sul tema) chiedono agli investitori istituzionali un cambio di approccio culturale invitandoli ad assumere più rischi a lungo termine, dall’altro si registrano in vari paesi iniziative, prese o allo studio, per agevolare il finanziamento dell’economia da parte delle assicurazioni, con un occhio particolare per le piccole e medie imprese.
La ricetta francese
Il paese europeo leader da questo punto di vista è certamente la Francia. Lo scorso luglio un emendamento al Codice delle assicurazioni ha allentato i vincoli esistenti al finanziamento diretto delle imprese. Insieme alla creazione di un fondo di debito denominato Novo cui partecipano le maggiori compagnie, il governo stima di mobilitare 90 miliardi di euro a favore dell’economia. Inoltre la Loi des Finance per il 2014 in discussione all’Assemblea Nazionale raccoglie alcune proposte avanzate dal Rapporto Berger-Lefebvre sul risparmio a lungo termine commissionato dal primo ministro Ayrault che, oltre ad allungare la durata delle polizze attraverso incentivi fiscali, prevede un nuovo tipo di contratti denominati «euro croissance» che, garantendo il capitale solo alla scadenza, aumentano la capacità d’investimento a lunga degli assicuratori. Una parte delle riserve a fronte di questi contratti dovrebbe poi essere destinata al finanziamento delle Pmi.
In Italia ci si sta orientando ad allentare i vincoli esistenti sugli investimenti delle compagnie in attività finanziarie come le cartolarizzazioni, che hanno una componente di rischio maggiore rispetto ai tradizionali titoli di Stato, ad oggi il canale di impiego preferito dal sistema. E’ in fase avanzata di studio inoltre il lancio di un fondo di fondi destinato in primis alla partecipazione di assicurazioni e fondi pensione, che risponde anche alla necessità di dotare il mercato di strumenti adeguati di valutazione del merito di credito dei soggetti destinatari dei finanziamenti.
Il paese dove il problema è meno sentito è invece la Germania. Dal 1997 la dipendenza del comparto delle piccole e medie imprese, che ha un peso cospicuo sul prodotto lordo, dal credito bancario e da altri tipi di finanziamento a debito è infatti diminuita. In parallelo è aumentato il finanziamento con capitale proprio, con l’equity ratio passato dal 6% al 22% negli ultimi anni. Il problema della dipendenza dal credito bancario evidentemente è stato affrontato dal Mittelstand (le Pmi tedesche) con un maggiore ricorso al capitale proprio grazie all’ottimo stato di salute delle imprese. Al di là del caso specifico, l’esempio tedesco dovrebbe essere di stimolo ad affrontare con maggior decisione il problema del «banco centrismo» nel resto d’Europa.

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