Si è concluso con successo il Social Media Marketing Day
Concessione del prestito a patto che la fedina spesa pubblicitaria

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Mille persone sedute in sala, mille collegate in streaming. E, sul palco, 16 relatori che si sono succeduti dalle 9 alle 20 frammentando in tanti spicchi specifici il grande mondo dei social media senza rincorrere fumose teorie ma portando modelli concreti, business case realizzati, buone pratiche messe in atto. «Abbiamo ricevuto 250 richieste di presenze come speaker e siamo andati a selezionare il meglio, secondo un criterio rigoroso e ben preciso: dare voce solo a realtà e a aziende che stanno facendo qualcosa di concreto, di reale e magari di innovativo nel campo del social media marketing e delle social media strategies. Raccontare qualcosa di vero e vissuto in prima persona nella quotidianità lavorativa. Perché se metti su un palco qualcuno che racconta qualcosa che non ha vissuto, che non ha fatto davvero, il pubblico se ne accorge e tutto l’evento perde credibilità».
Questa la linea (e i numeri) che, nelle parole di Andrea Albanese, ideatore e deus ex machina dell’evento, hanno decretato il successo della quarta edizione del Social Media Marketing Day, svoltosi a Milano il 22 giugno. Quattro anni che, nel mondo del digital e nella frenesia dei social network, significano un secolo. Per questo, per sintetizzare le centinaia di stimoli emersi nel corso della giornata, e aprire alcune porte sul futuro, abbiamo chiesto ad Albanese, i temi emersi dal #SMMDay 2016 che più hanno fatto sentire la propria carica di innovazione.
«Due le novità radicali» dice Albanese: «la fruizione dei contenuti digitali ormai viaggia in stragrande maggioranza su smartphone o tablet, e la tipologia dei contenuti è volta all’aspetto entertainment, non più informativo – d’approfondimento. Significa che è cambiato il mezzo di fruizione, ed è cambiato il linguaggio: la grafica, il teaser, l’uso dei video, il multimedia valgono più dell’approfondimento di qualità. La comunicazione guarda sempre più – come estetica – al mondo del gaming più che alla “vecchia” informazione di matrice giornalistica»

«Questo mette in qualche modo in crisi le aziende e il loro modo di comunicare, perché ribalta completamente le logiche assodate e le competenze maturate. La maggior parte delle aziende, infatti, anziché cogliere questi stimoli si sta ancora chiedendo perché le persone sui social non interagiscano con i loro contenuti», osserva Albanese. «La risposta è semplice: le aziende non sono nate per fare interazione e conversazione, ma per decenni hanno fatto comunicazione in maniera top-down. Chi è rimasto legato a questo schema, anche quando prova a dialogare sui social lo fa in modo tradizionale, e non entra realmente nella “conversazione”, ma mantiene un tono asettico, distaccato, che non crea engagement. Non basta essere sui social, insomma, ma bisogna essere social se si vuole entrare nel flusso».

«C’è tanta offerta di formazione iperspecialistica sui social media e le strategie social media marketing, ma molto spesso alle persone che fanno full immersion tecniche sui singoli tool manca una mappa di riferimento per orientarsi in questo mondo, per vedere dall’alto le sue dinamiche, come si sta muovendo il comparto. Senza uno sguardo d’insieme, padroneggiare il dettaglio non serve a nulla. È un ambito in cui il dettaglio, le singole technicalities cambiano in maniera rapidissima, e se non hai una visione chiara delle coordinate allargate ti perdi», suggerisce Albanese.
«Dire che le banche ormai siano social, è troppo. Dal mio osservatorio, posso dire che tante ci stanno seriamente provando e che stanno sperimentando», anticipa, soppesando le parole. «Ma per avere una strategia social efficace bisogna creare una business unit dedicata, che risponda alla funzione comunicazione/marketing, e un budget dedicato. Significa avere 5 persone dedicate all’attività social, non contare su iniziative spot, gestite in maniera collaterale da chi si occupa di marketing e “fa anche” i social media, oppure affidarsi ad agenzie esterne. Dar vita a un’unità social significa però mettere in discussione più di un aspetto dell’organizzazione interna, perché per sua natura l’attività social è trasversale, va dalla comunicazione, al marketing, alle vendite, al customer service, ai sistemi informativi… Trasformare strutture e processi in ottica social è un passo coraggioso, che richiede una riflessione importante».
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