Sofferenze In aumento di 2,2 miliardi al mese

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A settembre 2013 le sofferenze lorde del sistema bancario italiano sono aumentate di 26,8 miliardi di euro rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, con un incremento del 22,9 per cento, toccando l’impressionante cifra di 144,2 miliardi di euro. Le sofferenze nette, se possibile, hanno corso ancor più velocemente: un incremento del 28,3 per cento, pari a 16,6 miliardi di euro, a un totale di 75,2 miliardi. Sono questi i denari che i clienti delle banche — famiglie e imprese — hanno ricevuto in prestito e non sono in grado di restituire nei tempi e nei modi pattuiti. In particolare, considerando i 144,2 miliardi di sofferenze lorde — che rappresentano la vera entità non rientrata al prestatore e che si differenziano dalle nette per la diversa «spesa» a bilancio — poco meno di un terzo sono riconducibili a famiglie (44,1 miliardi) e quindi principalmente a mutui finalizzati all’acquisto di immobili, mentre la quota restante va imputata alle imprese (99,1 miliardi). Le difficoltà delle imprese sono cresciute negli ultimi 12 mesi a un ritmo particolarmente sostenuto: +26,4 per cento, mentre la rete di appoggio famigliare ha tenuto meglio: +15,4 per cento.
Meglio le grandi
Con un simile riscontro economico, in un contesto di recessione e con l’occupazione che aumenta, la settimana dei bilanci bancari è arrivata solo di poco in ritardo sulla più appropriata scadenza del 2 novembre… Cosa potevano fare le banche italiane di diverso dal contenere i costi e limare le perdite nel terzo trimestre dell’anno? Poco. Così è stato: lo dimostrano i bilanci dei dodici principali gruppi creditizi italiani quotati a Milano che riportiamo a fianco: utili in contrazione, quel poco di fieno che si è riusciti a mietere messo in cascina in attesa di tempi migliori, sofferenze da arginare in ogni modo, aumentando le rettifiche su crediti, anche perché questa politica potrebbe diventare un salvagente se la ripresa tarderà ancora ad arrivare o rivelarsi, come taluni sperano, una rampa di lancio nel caso l’economia iniziasse a girare.
In questo contesto di generale pessimismo va evidenziato come i grandi gruppi italiani — in modo particolare Unicredit e Intesa Sanpaolo — abbiano presentato risultati di un qualche interesse sistemico. In particolare, dall’analisi dei rendiconto di periodo, si vede come il moloch dei crediti deteriorati netti di Unicredit sia aumentato di solo l’1,5 per cento nel corso dell’ultimo anno, il valore incrementale più basso tra tutte le banche considerate dalla nostra analisi. In Intesa la stessa voce ha evidenziato un incremento del 13 per cento annuo, ma ci sono altre realtà bancarie con crescite attorno al 20 per cento (Ubi, Bpm, Bper). Tra le grandi realtà il Banco Popolare si ferma all’8 per cento di crescita, un risultato eccellente, ma in questo caso va altresì evidenziato come il rapporto tra sofferenze nette e patrimonio netto sia oggi al 59,85 per cento, quando il primo gennaio 2012 era al 40,57 per cento. Due sole banche hanno guadagnato al settembre 2013 più di un anno prima: PopMilano e Credem.
Un passo in avanti anche dal Montepaschi, ma ha solo perso meno. Nel complesso, alle dodici banche considerate mancano 1,988 miliardi di utile netto rispetto a un anno fa (erano 2.146 milioni, sono 158 milioni), ma va considerata la cura pesantissima che Montani ha imposto a Carige.
Accortezza
Nel bilancio di Intesa Sanpaolo prevale il senso della prudenza, a determinare il quale ha probabilmente contribuito anche il cambio di guida avvenuto nelle ultime settimane. A un risultato di periodo in marcata contrazione (-62 per cento), ha infatti corrisposto sì una flessione del margine operativo netto, ma soprattutto un marcato aumento delle rettifiche su crediti: +24 per cento.
Cà de Sass è poi apripista verso un nuovo concetto di banca, assai più light che in passato e non sistemica. I numeri sono lì a confermarlo. Dall’inizio di quest’anno sono usciti da Intesa Sanpaolo 1.180 dei 66.485 dipendenti italiani (833 le uscite all’estero), mentre le agenzie, che per anni sono state il segnale più evidente dell’esuberanza del settore — pagate anche 12 milioni di euro l’una — oggi vengono semplicemente chiuse. Dal 31 dicembre scorso Intesa, in Italia, ha ridotto il numero degli sportelli da 5.302 a 4.859 (-422), a cui se ne aggiungono altri 59 all’estero, per un totale di 502 agenzie. Inoltre — complici le invenzioni del ministro Fornero, a cui si è dovuto e voluto porre rimedio — la banca ha recuperato i cosiddetti «esodati», allugando l’orario di apertura e prolungandolo, in alcuni casi, al sabato.
Rush finale
L’ultimo trimestre dell’anno dovrebbe segnare per le banche italiane un inizio di recupero. Ma la ripresa dei consumi appare lontana, nonostante la vicinanza con il Natale e l’immobiliare è un peso sempre più gravoso da sopportare. Mentre impellenti appaiono le richieste delle autorità europee sul cammino che porterà all’Unione Bancaria, che si concretizzerà tra 408 giorni.
A queste emergenze sistemiche si uniscono poi casi di mala-governance. La Popolare di Milano continua il suo travagliato percorso a ostacoli, mentre Carige sembra aver compiuto scelte decisive. Restano da stabilire equilibri e da trovare — solo per Bpm e Carige — 1,3 miliardi di euro in poche settimane. Non sarà semplice. Anche perché poi toccherà battere cassa al Monte dei Paschi di Siena.

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