Svolgimento di fatto dell’attività di incasso da parte dell’agente
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Nella prassi a volte si verificano casi in cui un agente svolge di fatto l’attività di incasso per conto della preponente, nonostante tale attività sia formalmente vietata dal contratto o manchino le condizioni previste dagli accordi economici collettivi.

In tali casi, quindi, si pone il problema se l’agente abbia o meno diritto ad un compenso per l’attività di incasso in concreto svolta in favore della preponente.

In proposito si segnala che in giurisprudenza vi sono due orientamenti che riconoscono all’agente il diritto ad un compenso in caso di svolgimento di fatto dell’attività di incasso.

In base al primo orientamento giurisprudenziale, tenuto conto che esiste la libertà di forma in ordine alla pattuizione attributiva all’agente dell’attività di incasso, deve essere valorizzato l’effettivo comportamento delle parti, per cui deve ritenersi conferito l’incarico di incasso per fatti concludenti, qualora l’agente dimostri in giudizio sia lo svolgimento in maniera stabile di tale attività, sia la mancata opposizione o il tacito consenso della preponente.

In base al secondo orientamento giurisprudenziale, laddove l’attività di incasso sia svolta di fatto dall’agente, quest’ultimo potrà richiedere il pagamento del relativo compenso mediante l’azione di ingiustificato arricchimento prevista dall’art. 2041 c.c., ma in tale ipotesi dovrà dimostrare in sede giudiziaria che la preponente si è giovata dell’attività di incasso da lui prestata, senza ricevere alcun corrispettivo.

Pertanto, in virtù dei due orientamenti giurisprudenziali sopra menzionati, l’agente avrà diritto ad un compenso per l’attività di incasso in concreto svolta pure se nel contratto di agenzia vi sia un espresso divieto di svolgere tale attività oppure se mancano le condizioni previste dagli accordi economici collettivi.

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