La coperta per la prossima Legge di Bilancio è corta, anche per la misura su cui il Governo ha intenzione di puntare tutto: il taglio del cuneo fiscale. La proroga dell’attuale provvedimento vale quasi metà della Manovra e il Mef potrebbe essere costretto a rinunciare a qualche punto percentuale. A farne le spese potrebbero essere i lavoratori, che da gennaio dell’anno prossimo vedrebbero ridursi la propria busta paga.
Le stime
Con la scorsa Legge di Bilancio, il taglio del cuneo fiscale introdotto dal precedente esecutivo è stato integrato e portato nel primo semestre del 2023 a 3 punti per redditi fino a 25 mila euro e 2 punti fino ai 35 mila euro.
Tramite il decreto Lavoro il Governo ha aggiunto un’ulteriore sforbiciata del 4% nel secondo semestre, arrivando a 7 punti per la prima fascia e a 6 punti per la seconda. Un’operazione che porta fino a 100 euro in più in busta paga fino a dicembre.
Per confermare e rendere strutturale questo aumento da gennaio in poi, secondo le stime di ‘Repubblica’, l’esecutivo dovrebbe stanziare 15 miliardi di euro, sui circa 25-30 dell’intera Manovra (qui avevamo già parlato della mancanza di risorse per confermare il taglio del cuneo fiscale).
La riduzione del taglio
Il Governo potrebbe quindi essere costretto a fare un passo indietro rispetto al livello di decontribuzione del lavoro raggiunta negli ultimi sei mesi del 2023 e a trovare una soluzione di compromesso, arrivando, come del resto indicato nel programma elettorale, a un taglio del cuneo fiscale di 5 punti.
“Confermare il taglio del cuneo costa 11,4 miliardi di euro più altri 315 milioni di trascinamento all’anno successivo – ha spiegato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo – Al netto delle tasse, pari a 3,2 miliardi, siamo a un costo netto della misura di 8,5 miliardi”.
Se la misura venisse ridimensionata, 13,8 milioni i lavoratori vedrebbero ridursi i 92 euro netti ricevuti in busta paga in questi ultimi sei mesi dell’anno: con un taglio del cuneo di 5 punti, infatti, gli aumenti sarebbero di 66 euro al mese, 26 euro in meno rispetto a quanto intascato fino a dicembre.
A questo si aggiunge la necessità di intervenire sull’Irpef: “Il taglio del cuneo comporta un aumento del prelievo Irpef, se non si fa nulla. Ecco perché occorre agire su aliquote e scaglioni”.
Il ‘cuneo fiscale’, come abbiamo spiegato qui parlando del reale aumento sugli stipendi, non è altro che la totalità delle imposte e dei contributi che devono essere versati dal datore di lavoro e dal dipendente sulla retribuzione.
Se si tagliano i contributi aumenta il reddito imponibile sui cui il lavoratore paga le tasse, in quanto l’Irpef viene versato sullo stipendio al netto dei contributi previdenziali.
Per evitare che l’imposta arrivi a sgretolare un altro terzo della misura, fino anche a metà se si considerano le addizionali regionali e comunali, il Governo dovrebbe coprire 3,2 miliardi di maggiore Irpef.
Inoltre, per evitare un impoverimento ulteriore degli stipendi l’esecutivo deve far fronte al cosiddetto ‘fiscal drag‘ causato dall’inflazione: il fenomeno per cui la pressione fiscale risulta maggiore perché a causa del caro-vita il potere d’acquisto della busta paga diventa più basso.