Tetto massimo per le fondazioni al 33%
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Si compone in tutto di tredici articoli il protocollo d’intesa siglato ieri a via XX settembre dal presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti e dal ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan. Ma nelle intenzioni dei firmatari si tratta di una pietra miliare della storia delle fondazioni di origine bancaria in Italia, una riforma importante, proprio come la legge Amato che permise di sbloccare la “foresta pietrificata” del credito all’inizio degli anni ’90 o la legge Ciampi del 1998: servirà infatti a garantire la sana e prudente gestione dei loro investimenti bancari, immunizzandoli dal rischio di crisi finanziare future, e permetterà anche di accrescere la trasparenza, l’indipendenza dalla politica degli amministratori e di qualificare la governance, oltre che di potenziare il ruolo nello sviluppo sociale di questi investitori . Il tutto, come ha spiegato ieri nel corso di un convegno al Tesoro il presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, «senza metterne in discussione l’autonomia e sbarrando la strada a tentativi più o meno illuminati di intervenire con atti d’imperio». Sotto il profilo finanziario, il cuore della riforma alla quale hanno aderito, impegnandosi a cambiare al più presto i loro statuti, 85 fondazioni su 86 tra quelle che fanno parte dell’Acri ( solo la Cassa di Fossano non ha firmato e lascerà l’associazione)si articola in tre punti.
Il primo è il tetto alla concentrazione dell’investimento nella banca conferitaria che non potrà superare il 33 per cento. Il patrimonio delle fondazioni non potrà essere impiegato direttamente o indirettamente in esposizioni verso un singolo soggetto per un ammontare complessivamente superiore a un terzo del totale dell’attivo valutato al fair value. Per le dismissioni delle quote eccedentarie la riforma concede tre anni di tempo per le società quotate e cinque anni di tempo per le non quotate. Come ha spiegato ieri il dirigente generale del Tesoro che segue il sistema bancario, Alessandro Rivera,sulla base dei bilanci dell’esercizio 2013, per il sistema-fondazioni l’investimento complessivo nella banca conferitaria è pari a circa 19 mld corrispondenti a poco meno del 39% del totale dell’attivo patrimoniale. Occorre però tenere conto del fatto che non tutte le fondazioni hanno ancora una partecipazione nella banca conferitaria.
Su un totale di 88 Fondazioni, sono 67 quelle che tuttora detengono una partecipazione nella banca. La percentuale complessiva dell’attivo investito nella banca, calcolata sulle sole fondazioni che ancora detengono una partecipazione è maggiore e pari al 40,5%. Il livello di concentrazione, per queste fondazioni, è molto variabile. Per 38 Fondazioni l’investimento nella banca è superiore al 50%. Sono invece in totale 42 quelle che superano la percentuale del 33% definita nel protocollo. Per 16 di queste l’investimento è in una banca quotata, per le restanti 26 riguarda invece banche non quotate; qualche calcolo a spanne, inoltre, fa pensare che sul mercato, in un arco congruo di tempo, potranno andare oltre 5 miliardi di titoli. Ieri l’amministratore delegato Carlo Messina ha riconosciuto che Intesa Sanpaolo «ha tratto moltissimi benefici dalla presenza delle fondazioni nel capitale della banca, sono state un punto di forza. Questa esperienza, ha aggiunto, è un «caso di successo. Per questo – ha aggiunto – siamo preoccupati per i prossimi anni, per come sostituire questo soggetto nel capitale».
L’altro paletto importante della riforma, sotto il profilo della gestione riguarda l’indebitamento delle fondazioni che deve essere solo temporaneo e non superare in ogni caso il 10 per cento; un terzo importante principio concerne le operazioni in derivati, che potranno essere usati solo con finalità di copertura oppure in operazioni in cui non siano presenti rischi di perdite patrimoniali.
L’operazione varata ieri al Tesoro ha la “benedizione” anche di Bankitalia: il protocollo Tesoro-Acri sulle Fondazioni «è un passo avanti deciso sulla strada aperta dalle leggi Amato e Ciampi e si iscrive anche nello sforzo che il Paese sta facendo e di cui la riforma delle Popolari è un altro tassello», ha dichiarato il direttore generale, Salvatore Rossi. Che ha concluso: «Il ruolo delle fondazioni non è messo in discussione, anzi può esserne rafforzato. Banca d’Italia continuerà a vigilare affinchè il rapporto con le banche sia sano e il sistema sia in grado di sostenere la crescita economica».
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