Ubi Banca prevede di raggiungere nel 2019 un utile netto di circa 730 milioni
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Sono alcuni dei numeri del piano industriale 2019/2020 dell’istituto. Il gruppo bancario conta inoltre di mantenere una “solida politica di dividendi” con un pay out superiore al 40% sull’utile di ogni esercizio e un dividendo unitario “costantemente in crescita”.

Lo scenario economico utilizzato per il periodo del piano prevede tassi negativi di mercato fino al 2019 e una crescita economica molto moderata anche in conseguenza dei più recenti sviluppi. Più nel dettaglio, per l’utile netto la stima è di una crescita del 49,6% medio annuo, per arrivare dai 117 milioni di fine 2015 a 874 milioni cinque anni dopo.

I proventi operativi sono attesi a 3,6 miliardi nel 2019 e a 3,8 miliardi al termine dell’arco temporale del piano, dai 3,4 miliardi riportati al termine dello scorso esercizio, con un ulteriore contenimento degli oneri operativi da 2,3 miliardi di euro nel 2015 a circa 1,98 miliardi nel 2019-2020, nonostante investimenti nell’arco del piano per circa 540 milioni di euro, per il 72% a sostegno dello sviluppo dei ricavi.

Inoltre Ubi stima una crescita media annua dell’1,7% dei crediti alla clientela, che saranno pari a 88,9 miliardi a fine 2019 e a 92 miliardi a fine 2020 (i crediti deteriorati caleranno in media del 6,5% l’anno nell’arco del piano). E’ poi atteso un incremento delle coperture dei crediti deteriorati, inclusi gli stralci, dal 43,3% di marzo 2016 (pro-forma per includere anche il riassorbimento della shortfall) al 49% nel 2019-2020 (dal 58% a oltre il 60% per le sofferenze). Quanto alla raccolta è vista a 165,6 miliardi nel 2019 e a 172 miliardi nel 2020.

Target che la banca punta a raggiungere anche grazie all’uscita, da qui al 2020, di circa 2.750 persone, di cui 1.300 con accesso al fondo di solidarietà. L’istituto chiuderà, infatti, 280 filiali nei prossimi 4-5 anni, di cui 130 in relazione alla nuova Banca Unica, e rinnoverà oltre il 40% della rete fisica “con una forte spinta sulle filiali cashless”. Contemporaneamente, però, nell’arco del piano Ubi ha previsto l’ingresso di circa 1.100 persone.

Invece, per effetto degli impatti una tantum non ricorrenti del nuovo assetto del gruppo, che saranno spesati nel conto economico del primo semestre dell’anno, l’istituto chiuderà l’attuale esercizio in perdita. In particolare, i costi del progetto Banca Unica saranno pari a circa 43 milioni di euro: 5
milioni saranno spesati nei numeri al 30 giugno e la quota restante nel secondo semestre. Nonostante il rosso, Ubi ha assicurato ai soci il pagamento di un dividendo per il 2016 “almeno in linea con quello del 2015” dal momento che il common equity tier 1 rimarrà ampiamente superiore al requisito Srep.

Dunque Ubi “non ha bisogno” di un aumento di capitale, anzi, nell’arco del piano, punta a “creare capitale”, come ha sottolineato il consigliere delegato, Victor Massiah, presentando agli analisti il piano. La banca parte con un Common equity tier 1 ratio fully loaded pari all’11,6% a fine 2015 e stima di arrivare a fine 2020 al 12,8% con un incremento di 1,2 punti. Nel dettaglio, l’istituto potrà contare nel quinquennio di uno 0,3% in più di Cet1 grazie al riacquisto delle quote di minoranza nelle banche reti, di un altro 0,4% grazie all’effetto fiscale e di ulteriori 2,2% derivante dall’auto finanziamento; peseranno, invece, in maniera negativa sui coefficienti patrimoniali il fondo esuberi (-0,4%) e l’aumento dei volumi di impiego e la composizione del mix (-1,2%), oltre alla partecipazione al fondo Atlante (-0,1%).

Anche il Total Capital Ratio è previsto in crescita dal 13,9% di fine 2015 al 15,7% nel 2019 e al 16,3% nel 2020. Invece il Texas ratio (rapporto tra crediti deteriorati netti e patrimonio tangibile), pari a circa il 112% a fine 2015, è atteso al 92% nel 2019 e all’84% nel 2020. Il gruppo punta, quindi, a ridurre il Texas ratio sotto il 100% e per farlo già quest’anno adotterà un approccio “ulteriormente prudenziale” nella gestione dei crediti problematici, incrementando le coperture con parziale riassorbimento della shortfall di 850 milioni di euro già dedotta dal Cet 1 fully loaded.

Il piano non prevede la cessione di pacchetti di sofferenze. “Nel piano non sono incluse ipotesi di cessione di crediti non performanti. Questo sarà un potenziale cuscinetto aggiuntivo per noi”, ha precisato Massiah, annunciando che l’istituto dimezzerà, nei prossimi cinque anni, il peso dei titoli governativi italiani nel suo portafoglio. A fine 2015 il 95% del portafoglio titoli del gruppo era composto da titoli di Stato italiani e l’incidenza scenderà, a fine piano, al 46%.

Ubi punterà sui titoli governativi dell’area euro (30% del portafoglio titoli atteso nel 2020), sui bond del Tesoro Usa (14%), sui corporate bond (dal 4% del 2015 al 6% a fine piano), quindi su mercati emergenti (3%) ed hedge fund (1%). A livello di controvalore, Ubi stima una riduzione del totale da 19 miliardi a 13 miliardi di euro (-31%), con un calo di 6 miliardi di euro in termini assoluti, grazie principalmente alla cessione di titoli governativi italiani per circa 11 miliardi di euro.

Quanto alle iniziative commerciali, la banca rivedrà l’offerta basandosi “sui nuovi bisogni fondamentali post-crisi della clientela privata” e su un “maggior riconoscimento” dell’evoluzione dei settori industriali. Da un lato il modello distributivo si evolverà in ottica di “assetto multicanale integrato” (completato per l’80% entro fine 2018), dall’altro ci sarà, appunto, una semplificazione della rete territoriale, con le filiali che passeranno dalle 1.529 di fine 2015 a 1.250 “punti vendita” nel 2019.

Infine, per semplificare l’assetto del gruppo dando vita alla Banca Unica, verranno incorporati di tutti i sette istituti controllati. Per consentire la fusione Ubi riacquisterà tutte le minoranze attraverso il concambio con proprie azioni, procedendo all’emissione di 75 milioni di azioni con una diluizione massima del 7,8%. Il beneficio in termini di Cet1 fully loaded è stimato in 30 punti base; è prevista anche la chiusura di 130 punti vendita e la liberazione di 600 risorse. I benefici lordi sui costi operativi a regime sono stimati in circa 80 milioni a fronte di 198 milioni di spese una tantum.

L’operazione dovrebbe concludersi entro la prima parte del 2017. Il venir meno dell’utilizzo societario dei marchi, che rimarranno sulla rete, comporterà svalutazioni lorde per 60 milioni di euro. Nel dettaglio, la fusione con la Banca popolare di Bergamo e con il Banco di Brescia non comporterà effetti sul capitale perché le due società sono interamente controllate.

Effetti, invece, minimi, per quanto riguarda l’emissione di nuove azioni per la fusione con Banca Popolare di Ancona, controllata al 99,59%, con Banca Carime (99,99%) e Banca di Valle Camonica (98.70%). La gran parte delle azioni andranno in concambio agli azionisti della Banca regionale europea, di cui Ubi ha il 74,79%, e della Banca popolare commercio e industria (83,76%). Ubi ha anche riacquistato le azioni privilegiate Banca regionale europea detenute dalla Fondazione CariCuneo per 120 milioni di euro. A seguito della fusione la Fondazione CariCuneo avrà il 5,90% di Ubi e la Fondazione Banca del Monte Lombardia il 5,20%.

“Siamo contenti di ciò che abbiamo fatto nel passato, ora è tempo di passare alla Banca Unica. Manteniamo una forte disciplina sul fronte dei costi. Confermiamo la qualità degli asset, tra le migliori del settore”, ha aggiunto Massiah, assicurando che Ubi “è una banca solida, che ha creato valore, che ha ancora spazio per generare ulteriore redditività. Per il piano abbiamo utilizzato uno scenario conservativo. Nonostante queste condizioni negative possiamo comunque ottenere buoni risultati”.

Infatti il modello di Banca Unica permetterà di “eliminare le inefficienze e ottimizzare i costi”, ha spiegato il ceo, sottolineando che l’acquisto delle quote di minoranza “avrà benefici nel corso del piano in termini di utili. L’aumento di capitale verrà condotto quando avremo le autorizzazioni, che ci aspettiamo per l’autunno”. Invece Ubi non sta valutando acquisizioni. “In questo momento non abbiamo nessun dossier aperto, come non abbiamo dossier aperti da tempo”, ha concluso Massiah in riferimento alle indiscrezioni circa un interesse per Veneto Banca.

Tuttavia a Piazza Affari il titolo Ubi Banca , di riflesso all’andamento del mercato (indice Ftse Mib -2,58%) e delle altre banche italiane, flette del 6,81% a quota 2,408 euro. Questa mattina non solo Barclays ha abbassato la raccomandazione sul titolo da overweight a equalweight (target price a 3,54 euro), ma Citigroup ha limato il target price da 4,9 a 3,3 euro (rating buy confermato) di riflesso a una revisione delle stime di eps adjusted 2016/2019 in media del 5% per riflettere una minor crescita dei prestiti, i più bassi margini e un maggior costo del rischio.

“Alla luce della decisione del Regno Unito di uscire dalla Ue e della maggiore incertezza intorno agli sviluppi politici in Europa, nonché di una maggiore volatilità dei mercati, abbiamo anche aumentato il nostro costo del capitale a circa il 12% dal 10,5% circa”, avvertono gli analisti di Citigroup che per quest’anno prevedono per Ubi Banca un dividendo invariato rispetto al 2015 a 0,11 euro per azione a fronte di un utile per azione rettificato pari a -2,6 euro per azione (5,1 euro per azione nel 2015).

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