Unicredit, parte la trattativa-pilota sui bancari

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Cinquanta giorni di tempo. Sta per partire il conto alla rovescia per i dipendenti Unicredit in Italia. Il 9 maggio il responsabile del personale dell’istituto, Paolo Cornetta, incontrerà i sindacati a Milano. E formalizzerà l’apertura di una impegnativa vertenza per la riduzione del personale: 5.482 esuberi in Italia nel quinquennio 2014-2018. Di fatto una sorta di trattativa pilota in un settore investito da una nuova ondata di ristrutturazioni.

I 50 giorni di tempo per trovare un’intesa banca-sindacati scatteranno proprio dal 9 maggio. Calendario alla mano, sindacato e banca hanno tempo fino a fine giugno per trovare un accordo.
In Italia Unicredit ha poco meno di 50 mila dei suoi 147 mila addetti distribuiti in 17 Paesi. La riduzione del personale auspicata dalla banca corrisponde all’11% dell’organico. Una decisione difficile motivata nel piano industriale da una complessiva riorganizzazione delle modalità operative del settore. Prima questione: invece di andare allo sportello i clienti preferiscono l’Internet banking. Rispetto al 2011, nel 2018 la banca stima un calo del 30% delle operazioni nelle filiali. Di qui anche l’intenzione di chiudere 500 filiali. Per quanto riguarda le leve del rilancio, il gruppo parla di flessibilità sugli orari e rimodulazione delle mansioni. In discussione il welfare aziendale e il premio legato alla produttività (circa mille euro l’anno scorso per le posizioni impiegatizie intermedie).
«Non ci sembra che questo piano tenga in alcun conto le professionalità presenti in azienda – taglia corto Mauro Morelli, segretario generale della Fabi –. Per quanto ci riguarda escludiamo la possibilità che dalla banca possano uscire dipendenti in modo non volontario». In questa fase sia l’istituto che i sindacati preferiscono tenere coperte le strategie negoziali da mettere in campo appena inizierà la trattativa. Certo è che da qui al 2018 sono 2.794 i dipendenti Unicredit che maturano i requisiti per la pensione. A questi bisogna aggiungere quelli che potrebbero avere le carte in regola per eventuali prepensionamenti. «Il punto è che l’istituto ha già manifestato l’intenzione di non usare il fondo bilaterale di solidarietà per supportare le uscite dei prepensionati – fa presente Pier Luigi Ledda della segreteria Fiba Cisl –. Noi su questo non ci stiamo. E non siamo nemmeno d’accordo sull’idea di un blocco totale delle assunzioni per cinque anni».
La volontà di non ricorrere al fondo di solidarietà sarebbe legata all’esigenza di non mettere a bilancio in un colpo solo il montante di tutte le annualità di stipendio da versare a chi va in pensione in anticipo (dall’istituto nessun commento). Ma tant’è: questo sarà uno dei nodi della trattativa. Come del resto l’impatto della riorganizzazione su chi resta. «Non vorremmo essere posti di fronte a un aut aut: riduzione degli stipendi per salvare posti di lavoro – mette le mani avanti Costanza Vecera della segreteria Fisac –. Da parte nostra non staremo al gioco».

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