«UnipolSai in anticipo sui piani Pronti a crescere all’estero»

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«Rating chi?», Carlo Cimbri fa una battuta «renziana» seduto alla scrivania del suo studio, situato nella parte nuova del quartier generale di Unipol. Grandi finestre si affacciano sull’incrocio tra le vie Stalingrado e Aldo Moro, particolare che da solo sembra raccontare molto del gruppo e dei suoi soci di riferimento, le Coop. In effetti, dice, non lo preoccupano tanto i giudizi dei «professionisti delle pagelle» (ha ribassato la valutazione delle assicurazioni italiane dopo il downgrade sovrano) quanto ciò che potrebbe accadere con l’applicazione dal 2016 del nuovo quadro regolatorio europeo del settore «Solvency 2».
Quali effetti teme?
«Se vengono introdotti parametri che differenziano in modo consistente i premi di rischio dei singoli Paesi, la conseguenza sarà una diversa allocazione degli investimenti. In sostanza, se Solvency 2 enfatizzerà il rischio spread, per evitare di essere penalizzate le compagnie dovranno vendere Btp e comprare bund. Verrà premiato chi porta soldi fuori dal Paese».
E voi?
«E noi non vogliamo farlo. Lo dico da cittadino italiano prima ancora che da assicuratore. Il nostro portafoglio investimenti supera i 50 miliardi, 40 dei quali sono relativi a titoli di Stato del nostro Paese, cifra che rappresenta circa il 2% del debito pubblico. Noi lavoriamo, assicuriamo, raccogliamo risparmio previdenziale al 100% in Italia e in Italia vogliamo continuare a investire».
Un messaggio a Matteo Renzi?
«Vorrei stimolare i nostri decisori a una sempre maggiore sensibilità verso questi problemi. Dobbiamo difendere l’appetibilità dell’investimento nel nostro Paese e sottrarci a un certo “giogo europeo”: la deriva di tecnocrati e “risk manager” della Ue può essere una miscela esplosiva soprattutto in Italia, con un’economia continentale avviata a una piena (e solitaria) deflazione».
Ma essere solo italiani non è un limite per UnipolSai?
«Sì, ma dobbiamo fare un passo alla volta. La fusione Unipol- Sai è forse fra le operazioni di integrazione più grandi e complesse compiute in Italia».
A che punto siete?
«A due terzi circa del piano che si concluderà a fine 2015. Siamo anche in anticipo grazie al lavoro di tutti e al buon andamento del settore, in particolare nei rami danni».
E l’espansione all’estero?
«Dal prossimo anno cominceremo a “pensare” al triennio successivo. La linea strategica di fondo è e resterà il focus sulle assicurazioni. Tra i punti qualificanti ci sarà poi la diversificazione geografica del portafoglio da perseguire secondo modalità che saranno determinate nel corso del piano».
E per la banca, quali sono le prospettive?
«La fusione fra gli istituti di Unipol e Sai era una prescrizione di Bankitalia e l’abbiamo realizzata in novembre. La banca è fra gli asset diversificati del gruppo, ancillari rispetto all’attività core, quella assicurativa».
Dividendo: orientamenti?
«Se i risultati confermeranno le attese, compresa la solidità patrimoniale, non ci discosteremo dal payout compreso fra il 60 e l’80%, come previsto dal piano industriale».
E le raccomandazioni di cautela da parte dell’Ivass?
«Vanno nella giusta direzione della prudenza a favore della solidità. Detto questo, noi per crescere abbiamo chiesto al mercato circa 1,8 miliardi. Se i risultati lo consentono ritengo che remunerare i soci non sia una colpa ma una componente fondamentale dell’impresa».
Cosa pensa del riassetto in Finsoe, la holding delle coop che controlla il gruppo?
«Partiamo dalla base: come Unipol abbiamo immaginato di semplificare la struttura azionaria per renderla più moderna e “internazionale” proponendo la conversione in ordinarie delle azioni di risparmio e privilegiate. Se sarà approvata dai nostri azionisti Finsoe, che non detiene azioni privilegiate, scenderà nel capitale dal 51 al 31%. Penso che i soci di controllo valutando l’operazione abbiano dimostrato maturità e apertura verso il mercato che è proprio delle grandi aziende che rappresentano».
Finsoe studia lo scioglimento e un patto di sindacato fra i soci. Viene da dire: di nuovo un patto?
«Penso che il passaggio da una scatola non quotata a un sindacato dimostri una vocazione al mercato adeguata alle dimensioni di Unipol».
Ma pensare a una fusione fra la holding Ugf e UnipolSai?
«Non mi sembra opportuno. UnipolSai è una grande compagnia generalista. Ugf controlla, oltre alla banca, anche compagnie specializzate le cui potenzialità verrebbero annacquate con una fusione».
L’Ivass ha subordinato l’ok alla fusione anche al fatto che Ugf e UnipolSai abbiamo un diverso capoazienda entro giugno 2015. Cosa farà?»
«Con l’assemblea di bilancio presenteremo un nuovo assetto manageriale del gruppo. Posso fin d’ora affermare che, a prescindere dalle singole caselle, sarà garantita l’unitarietà d’azione del gruppo».
Può essere più esplicito?
«Se il consiglio concorderà, continuerò a svolgere nella capogruppo Ugf il ruolo di coordinamento dell’attuale gruppo dirigente, che ha le qualità per garantire un presidio adeguato in tutte le controllate».
L’uscita dall’Ania è irreversibile?
«L’Ania non rappresenta il settore, e in particolare le grandi compagnie che, compresa la nostra, sono il 70% del mercato. Abbiamo fatto una scelta di trasparenza. Su eventuali future decisioni valuteremo qualsiasi cosa ci venga proposta da interlocutori credibili».

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