Vendere i NPL al mercato o accodarsi a un intervento di sistema aspettando la bad bank dell’EBA?
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Le due strade percorribili per la gestione degli NPLs sono state analizzate in occasione del convegno “I Non Performing Loans tra politiche di vigilanza e mercato” organizzato da CRIF, The Credit Risk Club in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano. L’Italia, in valori assoluti, detiene un quarto degli NPL europei (276 miliardi su mille miliardi di euro totali), derivati principalmente dal settore corporate (60% degli NPL italiani), come sottolinea Gaetano Chionsini, Senior Economist dell’EBA. Ma attenzione i grandi debitori non solo le aziende di dimensioni notevoli ma le PMI, che presentano un tasso di non performing loans doppio rispetto alla media europea (30%), per via di una trafila giudiziaria così lunga da portare al raddoppio questi tassi.

Le banche, per ora, possono scegliere due strade differenti per liberarsi da queste sofferenze: gestire internamente i NPLs, con un ritorno medio del valore assoluto intorno al 47% (dati Banca d’Italia), rispettando tutti i crismi imposti dalla vigilanza, oppure (come accade nella maggior parte dei casi) cedere la gestione al mercato, vendendo i crediti deteriorati ai fondi con un ritorno atteso dimezzato (23%), come racconta Andrea Resti, Professore Associato dell’Università Bocconi e Policy Advisor del Parlamento Europeo. Eppure il mercato fino a oggi ha vinto: la maggior parte delle banche preferisce cedere agli investitori le proprie sofferenze, nonostante una sottostima del ritorno.

Mario Nava, Direttore Commissione Europa, D.G. Financial Stability and Financial Market della Commissione Europea, ha indagato le possibili soluzioni per aiutare le banche a ridurre le perdite: in primis, aumentare il coverage ratio sui non performing loans e aumentare anche il valore di mercato dei crediti deteriorati. Come? Migliorando la gestione degli NPL, diminuendo il numero di posizioni aperte e seguendo internamente la gestione con risorse dotate di skill specifiche e aumentando la trasparenza sul mercato. In altre parole, vivacizzare la concorrenza. Ciò a cui le banche devono rispondere in questo approccio sono le linee guida SSM, pubblicate a settembre 2016: regole di ingaggio sulla gestione degli NPL che promuovono una gestione “mista” dei crediti deteriorati. Naturalmente il primo passo per la banca è un self assessment delle capacità interne e quindi la mappatura del track record dei recuperi, per poi passare alla individuazione di strategie di disposal o concessione, cessione o cartolarizzazione degli NPL, come spiega Alessandro Santoni, Head of Crisis Management Section del Single Supervisory Mechanism dell’ECB. Aggiornando i dati, le infrastrutture IT e portando a bordo personale qualificato capace di definire una strategia di recupero dei crediti non performanti il risultato è lo sviluppo di un mercato dove viene consolidato il contraente debole, chi offre gli NPL (le banche), per negoziare a un livello di sfavore contrattuale minore.

Recente, l’annuncio di una nuova strada: una asset management company a livello europeo, con capitale pubblico e privato, a cui trasferire le posizioni deteriorate. Tradotto, una bad bank europea: l’idea è stata lanciata da Andrea Enria, Presidente dell’EBA, e l’obiettivo della asset management company sarebbe liquidare entro 3 anni al massimo gli NPL che, se non venduti entro la data limite, tornerebbero però in pancia alle banche. La bad bank potrebbe spuntare condizioni di mercato assolutamente più favorevoli rispetto a quelle attuali alle quali le banche si sono rassegnate ma soprattutto dovrebbe eliminare le barriere all’ingresso nella vendita dei non performing loans grazie a una maggiore trasparenza sui dati, con sistemi giudiziari (si spera) più efficienti e con prezzi di mercato coerenti con il real economic value (REV). Una misura che dovrebbe essere accompagnata da un’azione di bail in sugli azionisti, almeno in una prima fase, evitando la mutualizzazione dei rischi sull’Unione Europea.

Ma attenzione, la bad bank, o asset management company, premierebbe le banche che in questi anni hanno sbagliato di più nella gestione dei loro non performing loans, secondo Giovanni Bossi, Amministratore Delegato di Banca IFIS (banca che si è posta tra i più grandi investitori nel mercato degli NPL, comprando 1 milione e 300mila posizioni lo scorso anno). Insomma, la bad bank potrebbe avere un effetto distorsivo sul mercato e non ha senso parlare della sua costituzione se non può essere realizzata in fretta, bloccando il mercato degli NPL stessi in attesa di vendere crediti non performanti a un valore più basso. Le banche, secondo Bossi, non dovrebbero pensare unicamente a come vendere al migliore offerente le proprie posizioni deteriorate, piuttosto valorizzare ciò che hanno in seno e spingere sia per una accelerazione dei tempi della giustizia (che in questo momento, con i suoi lunghissimi ritardi, porta a un aumento degli anni di recupero degli interessi e quindi dei costi) sia per spostare l’asticella della privacy dal diritto del creditore a essere informato alla tutela della banca. Una riforma a tasso zero che cambierebbe il profilo di molti crediti deteriorati delle banche italiane.

Insomma, come ribadisce anche Paolo Petrignani, Amministratore Delegato di Quaestio SGR, la fisiologia del mercato non è così semplice da cambiare: gli investitori attendono importanti rendimenti (tra il 10 e il 15%) e spingono verso il basso il net present value delle posizioni deteriorate. In un mercato distressed le banche non possono fare altro che vendere a prezzi stracciati a chi acquista naturalmente a un ottimo prezzo e con un alto rendimento. Una possibile soluzione è istituire un meccanismo per determinare il prezzo corretto (fair value) di queste posizioni e capire come sono esattamente composti questi NPL: spesso infatti è un problema di incagli che sfociano in sofferenze dopo non essere stati ripagati per 3 anni.

BPER Banca ha iniziato ad affrontare questo problema. Come racconta Alessandro Vandelli, Amministratore Delegato della Banca, nel 2016 BPER ha iniziato a procedere nella gestione dei non performing loans con un approccio da asset manager, attraverso la costituzione di una società dedicata ai bad loans. All’interno di questa società è stato determinante il lavoro sulla qualità del dato relativo agli NPL della banca, che ha permesso di aumentare del 10% quasi il prezzo di vendita delle posizioni. Inoltre, le sofferenze sono state segmentate: BPER Banca ha individuato i non performing loans strategici per dimensione che sono stati affidati ai migliori gestori della Banca. Nulla è lasciato al caso: una gestione indistinta, infatti, non porta a risultati. Mentre BPER è riuscita in questo modo a migliorare del 20% la performance in un solo anno dalla costituzione della nuova società. La segmentazione guida la gestione: per alcune fasce di credito, infatti, è stata scelta la esternalizzazione dei portafogli, con un processo industriale di qualità per gestire ben 30mila posizioni diverse, mettendo in concorrenza gli operatori per individuare le migliori performance di ciascuno. Anche la strada della cessione è stata percorsa: 700 milioni di euro di gross book value sono stati ceduti sul mercato.

Al momento, i primi 15 servicer operanti sul mercato italiano gestiscono Asset under Management (AuM) sotto i 150 miliardi di euro. Cosa accadrà nel futuro? Secondo Alberto Sondri, Servicing Director di CRIF, il mercato è destinato a contrarsi e molti servicer spariranno. Ma il suo ruolo sarà sempre fondamentale: il servicer, infatti, mette in campo la sua abilità per diminuire le asimmetrie informative tra le banche e gli investitori in modo indiretto e, in maniera diretta, può invece usare questi dati nell’esternalizzazione dei portafogli NPL.

Gianfranco Torriero, Vicedirettore Generale dell’ABI, traccia il futuro degli NPL nel mercato bancario: un fenomeno che non si può banalizzare ma i numeri dimostrano come le banche italiane siano in netta ripresa su questo fronte. Nei prossimi 2 anni, con una qualità del credito migliore, le sofferenze e i crediti deteriorati diminuiranno e nel 2020 l’NPL ratio dovrebbe diminuire dal 17% del 2015 al 10,6%, riassorbendo la criticità del comparto.

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