Autoriciclaggio a doppio rischio

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L’autoriciclaggio non implementa le situazioni in cui i professionisti sono tenuti a effettuare segnalazioni di operazioni sospette, ma accresce il rischio per gli stessi di essere chiamati in causa a titolo di favoreggiamento reale.

È quanto deriva dalla mancata esclusione dall’art. 379 c.p. del nuovo reato di autoriciclaggio contemplato a seguito della legge 15/12/2014 n. 186, previsto dal nuovo art. 648-ter.1 del codice penale.

Il reato di autoriciclaggio. Il reato di riciclaggio, fuori dai casi di concorso nel reato, punisce chi a seguito di autonoma condotta «sostituisce o trasferisce denaro, beni o utilità, provenienti da delitti non colposi», compiuti da un diverso soggetto. In virtù di tale norma sancita dall’art. 648-bis non risultava punibile a titolo di riciclaggio il soggetto responsabile del reato presupposto che avesse in qualunque modo sostituito o trasferito il provento stesso del reato, anche qualora allo scopo avesse utilizzato un terzo inconsapevole. In tal senso, infra multis, Cass. n. 9226/2013.

Con l’introduzione, a partire dal 1° gennaio 2015, del reato autonomo di autoriciclaggio i termini della questione si modificano completamente. Il nuovo reato previsto dal nuovo art. 648-ter.1, sanziona, infatti, autonomamente la condotta di chi, dopo aver commesso il reato presupposto, provvede a sostituire, trasferire od occultare i proventi del reato stesso (denaro, beni o altre utilità) per investirli o immetterli in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative (si veda nel box la previsione del nuovo articolo). Tale punibilità è tuttavia prevista a condizione che la condotta di trasferimento o sostituzione sia concretamente idonea a ostacolare la provenienza delittuosa del provento del reato. In altri termini, dette condotte devono svolgersi in modo tale da rendere difficoltosa la scoperta della provenienza delittuosa dei proventi. Di contro, uno specifico esimente è previsto nei casi in cui il denaro, i beni o le utilità vengono destinati alla mera utilizzazione o godimento personale del reo.

Almeno quattro aspetti, alcuni invero problematici, appaio degni di menzione:

1) il primo attiene al concetto di mera utilizzazione ovvero godimento personale. A riguardo, appaiono tali, ad esempio, l’acquisto di un’automobile per scopi familiari, o l’utilizzazione di detti fondi per la spesa quotidiana. Ma nel caso di acquisto di un opera d’arte, gioielli, o azioni societarie si configurano spese personali o attività speculative? Alla giurisprudenza una (invero non agevole) risposta sul punto;

2) la nuova fattispecie di autoriciclaggio, è stata inserita anche nell’ambito dell’art. 648-quater c.p. relativo alla confisca per equivalente. Conseguenza di ciò è che, al di là degli aspetti detentivi, nel caso di condanna per autoriciclaggio il giudice penale ordinerebbe la confisca dei beni (o di somma equivalente) che costituiscono il prodotto o il profitto del reato (aspetto estremamente rilevante);

3) l’autoriciclaggio, inoltre, viene inserito tra i reati, di cui all’art. 25-octies di cui al dlgs 231/01, cioè fra i reati che possono determinare la responsabilità dell’ente (società), per reati commessi dai suoi vertici apicali;

4) il reato di autoriciclaggio è assoggettato ad una prescrizione (autonoma) ottennale, decorrente dalla consumazione del reato (concreto reimpiego del denaro, beni o utilità). Ciò comporta, ad esempio, che qualora si sia consumato nel 2005 un reato fiscale (attualmente prescritto), ma i proventi dello stesso siano utilizzati nel 2015, il reato di autoriciclaggio potrà essere imputato al reo entro il 2023.

Gli effetti sulle segnalazioni di operazioni sospette. Ci si deve chiedere, a questo punto, quali possono essere gli effetti del nuovo reato per i professionisti economico contabili e legali sottoposti agli obblighi di segnalazione di cui all’art. 41 del dlgs 231/07.

A riguardo, il nuovo reato non pare determinare nuovi obblighi per gli stessi in quanto l’art. 2 del dlgs 231, già prevedeva un obbligo di segnalazione nei casi di sospetto «sulla conversione o trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengano da attività criminosa, _ allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi» o ancora nel caso «di occultamento o dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, movimento, proprietà dei beni e dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengano da un’attività criminosa». In pratica, come più volte ritenuto dalla Guardia di finanza (circ. n. 81 del 18/8/2008 e più recentemente circolare 83607 del 19/3/2012), e dalla Uif (comunicazione del 15/2/2010) le situazioni di autoriciclaggio, in vigenza del dlgs 231/07 erano già da segnalare per i professionisti in relazione al più ampio significato del termine riciclaggio, fornito dall’art. 2 del dlgs 231/07 (e quindi foriero di obbligo di segnalazione ai sensi dell’art. 41 dello stesso dlgs) rispetto alla nozione strettamente penalistica del reato stesso, contemplata nell’art. 648-bis c.p.

Gli altri effetti per i professionisti. Se, tuttavia, la novella non determina sostanziali novità in termini di obblighi di segnalazione di operazione sospette, sui professionisti che non adempiono alla segnalazione potrebbero crescere i rischi di coinvolgimento penale.

È, infatti, da evidenziare come nell’attuale versione dell’art. 379, c.p. rubricato «favoreggiamento reale» che prevede, fuori dai casi di concorso, la reclusione fino a cinque anni per chiunque «aiuti taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato», siano esclusi i reati di ricettazione, riciclaggio, ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, ma non quello di autoriciclaggio. Ne consegue che, nel caso in cui attraverso l’omessa segnalazione si dimostri che il professionista ha voluto consapevolmente (a riguardo è richiesto il dolo generico) aiutare colui che ha commesso l’autoriciclaggio con la definitiva acquisizione dei vantaggi tratti dalla sua precedente attività delittuosa potrebbe imbattersi nel «favoreggiamento». Il che non esclude, evidentemente, che in capo al professionista, nei casi più gravi possa imputarsi anche il concorso in autoriciclaggio ex art. 110-c.p.

Dubbi di segnalazione nella «disclosure». Rimane dubbio se, il reato in commento debba essere segnalato nell’ambito di una procedura di voluntary disclosure. Da un lato, infatti, la legge n. 186 non prevede alcun esimente in tal senso per il professionista che, quindi, per questa via parrebbe chiamato alla segnalazione anche nei casi di reati non punibili. In assenza di segnalazione si rischierebbe almeno l’applicazione sul consulente della sanzione di cui all’art. 57, comma 4 del dlgs 231/07 (in tal senso peraltro il direttore dell’Uif nella audizione al senato dello scorso 25 novembre).

Dall’altro, tuttavia, si potrebbe ritenere che l’attività consulenziale relativa al rientro dei capitali è finalizzata ad evitare o intentare il procedimento di disclosure, mentre quella successiva si configura quale attività di difesa vera e propria, rientrando così «nell’ombrello» di cui all’art. 12, comma 2 del dlgs 231/07, secondo il quale la segnalazione del professionista non è richiesta nello svolgimento della difesa a fronte di un «potenziale» procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare lo stesso.

Al di là delle diverse tesi a confronto (si potrebbe anche eccepire, peraltro, la scarsa utilità di segnalare un reato irrilevante in quanto «coperto dalla procedura») non si può non rilevare a livello operativo che, qualora prevalesse la prima interpretazione, si rischierebbe una vera e propria fuga dei professionisti verso ogni forma di consulenza finalizzata al rimpatrio dei capitali, con il sostanziale «decesso» della procedura, ancor prima di nascere.

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