Cass., Sez. III Civile, 20 marzo 2014, n. 6513 (leggi la sentenza per esteso)
Il contenzioso tra una società e una banca nasce dal fatto che sul conto corrente della società viene incassato un assegno tratto sul medesimo conto con firma falsa di traenza del presidente della società. L’assegno fa parte di un blocco di assegni in bianco oggetto di un furto scoperto solo qualche giorno dopo l’incasso. La società chiama in giudizio la banca sostenendo l’imprudenza e l’imperizia per l’omissione di un controllo adeguato della firma di traenza.
Contrariamente al giudice di primo grado, la Corte d’Appello sostiene che si potrebbe ravvisare una responsabilità dell’istituto di credito per non aver percepito la falsificazione della firma dell’assegno avendo un tracciato assolutamente piatto, sostenendo che la banca deve compiere un esame superficiale, finalizzato alla rilevazione delle difformità, ma pur sempre a vista, senza necessità di avvalersi dell’ausilio di strumentazioni meccaniche o di sostanze chimiche o di persone esperte in grafologia. Tuttavia, nel caso di specie, è da escludere tale responsabilità perché non risulta alcuna difformità rilevabile tra la sottoscrizione dell’assegno e lo speciem, né poteva esigersi da un cassiere, se pur diligente e scrupoloso, una capacità percettiva atta a distinguere un tracciato grafico piatto, quale quello della firma falsa, dal tracciato della sottoscrizione autentica.
La società ricorre alla Suprema Corte la quale accoglie il ricorso, cassando la sentenza con rinvio, sostenendo che il grado di diligenza richiesto alla banca è rapportato alla professionalità del servizio bancario e deve essere quello dell’accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata e compiendo un accertamento nel caso concreto, alla stregua del paradigma di cui all’art. 1176 c.c.