E guarda alla fine di giugno 2016 come scadenza indicativa per la convocazione dell’assemblea straordinaria che decreterà l’abbandono del voto capitario. E che, con tutta probabilità, darà il via alla fusione con un’altra banca.
Ieri il Consiglio di gestione della banca lombarda ha infatti approvato la cosiddetta “road map” da presentare a Banca d’Italia in vista della trasformazione in società per azioni. Una trasformazione che, come noto, è stata imposta dal decreto Renzi-Padoan e riguarda le dieci principali banche popolari italiane, quelle con attivi superiori agli 8 miliardi di euro.
Il termine massimo concesso dal decreto per il passaggio alla Spa è fissato a fine 2016, ma Popolare di Milano intende accelerare i tempi e chiudere «indicativamente» la pratica entro metà anno. E «comunque – si legge in una nota diffusa dalla banca – in modo da garantire il rispetto dei termini di legge».
Il processo di riforma, e la spinta a concluderlo presto, si lega a doppio filo con le vicende di governance interna alla banca. Per il prossimo aprile è previsto infatti il rinnovo del Consiglio di Sorveglianza, che è in scadenza (al contrario del Cdg, che rimane in carica fino al 2017). È realistico dunque che ai piani alti di Piazza Meda si punti a concentrare in un unico evento assembleare la trasformazione societaria e l’altra operazione straordinaria che il mercato attende da tempo, ovvero la fusione con un’altra banca, anche per evitare rischi di takeover. L’alternativa – ovvero senza il via libera dei soci alla trasformazione in Spa e una coincidente aggregazione – è che il prossimo aprile l’assemblea di Bpm si ritrovi ad eleggere con il voto capitario un nuovo CdS a immagine dell’attuale corpo sociale, con il tradizionale peso preponderante dei sindacati che, non a caso, nei giorni scorsi hanno chiesto di essere maggiormente coinvolti nel processo di aggregazione. Anche per evitare dunque il rischio di un CdS disallineato rispetto al Consiglio di Gestione in tema di prospettive di aggregazione, Bpm potrebbe dunque procedere verso una “fusione trasformativa”, che potrebbe così prendere forma tra aprile e giugno dell’anno prossimo.
Nove mesi di tempo che saranno decisivi per sedersi al tavolo con il potenziale partner e stringere l’accordo di aggregazione. Le opzioni sul tavolo dell’ad Giuseppe Castagna sono note. Accantonata, almeno per ora, la carta del Banco Popolare (che sembra destinato al matrimonio con Ubi), i dossier vanno da Bper – banca che rimane in pole position – a Banca Carige, istituto con cui il dialogo risulta aperto, fino ad arrivare al Creval.
La banca milanese è la terza, dopo Ubi e Banco Popolare, ad aver formalizzato la tempistica per la Spa. La più veloce è stata Ubi, che ha optato per tempi più rapidi, e si è mossa prima del rinnovo degli organi. Tanto da aver convocato per il prossimo 10 ottobre l’assemblea dei soci. Il Banco Popolare, invece, sottoporrà la Spa al voto dell’assemblea nell’autunno del prossimo anno. Martedì prossimo, invece, toccherà a Bpertracciare la road map. Nelle scorse settimane l’ad Alessandro Vandelli aveva indicato l’intervallo tra aprile e ottobre 2016 come quello possibile per la convocazione assembleare.
Sulla trasformazione in Spa di Bpm, così come quella delle altre banche popolari, incombe tuttavia un’incognita di non poco conto. Ovvero quella dei ricorsi al Tar del Lazio presentati da una serie di soci di banche popolari, tra cui l’economista Marco Vitale il consigliere Bpm Piero Lonardi. L’udienza della Terza sezione del Tar è attesa per il 7 ottobre – praticamente alla vigilia dell’assemblea di Ubi – ed è possibile che già in giornata il Tar si pronunci sulla richiesta urgente di sospensiva delle disposizioni di Banca d’Italia.
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