L’impresa, o meglio il sistema delle imprese, è diventato in questo momento storico – e soprattutto economico – un elemento chiave nel tenere saldo il tessuto della coesione sociale. La richiesta di un “di più” di impegno e di responsabilità al mondo produttivo, e uno sguardo d’orizzonte su quelli che sono i nuovi compiti delle imprese, imprese bancarie comprese in quanto perno fondamentale dell’economia del Paese, è quanto emerge dal percorso avviato da Fondazione Sodalitas per ridisegnare gli ambiti della corporate social responsibility. E che ha portato a un primo momento di confronto in occasione del convegno Responsabilità e regole: insieme per la coesione sociale, che ha riunito a Milano un centinaio di manager e imprenditori delle più importanti aziende italiane e che ha tenuto a battesimo il lancio del Sodalitas Stakeholder Forum, un “ambito permanente” all’interno del quale promuovere l’incontro e il dialogo tra le imprese e gli stakeholder che avvertono la responsabilità di ricostruire la coesione sociale nel nostro Paese.
Ad avviare il dialogo, una ricerca realizzata da Gfk Eurisko che è andata a sondare l’opinione dei cittadini e degli imprenditori (49 i top manager intervistati, alla guida di alcune delle più grandi imprese del Paese) su quelle che sono le attese nei confronti dell’assunzione di responsabilità da parte delle imprese, e il ruolo che possono giocare in questa fase delicata di sofferenza di tanta parte della popolazione.
A margine del convegno, Bancaforte ha provato ad approfondire con Paolo Anselmi, vicepresidente di Gfk Eurisko, quale può essere in particolare il ruolo del sistema bancario in questo grande e importante processo.
Dalla ricerca emerge un dato preoccupante, anche se non si tratta di una sorpresa: il 75% degli italiani dichiara di essere stato direttamente toccato dalla crisi. Qual è la percezione diffusa che si registra tra gli intervistati?
Si registra una cosa che è difficilmente “registrabile” in maniera numerica, con dati precisi, ma costituisce uno stato d’animo diffuso. Che è quello dell’insicurezza generale. E, se ci vogliamo focalizzare su quella che è l’industry bancaria – tema che non era al centro di questa ricerca, ma sul quale in Gfk Eurisko abbiamo avuto modo di lavorare anche molto recentemente – la percezione diffusa è che le banche abbiano una responsabilità rispetto alla crisi. Ripeto, poi se si va nel dettaglio gli intervistati non sanno declinare questa percezione portando esempi concreti, ma questo è il sentiment: in generale “il mondo della finanza” viene messo dalla parte dei cattivi.
Sembra più l’effetto di un’informazione mediatica negativa e martellante, che frutto di esperienza diretta.
Effettivamente, c’è un altro dato che emerge, molto interessante: sta nei “distinguo” che fanno gli intervistati. In sostanza, il parere è: le banche sono cattive, tutte le banche, esclusa naturalmente la mia banca. Insomma, gli italiani tendono a salvare la banca con cui hanno un rapporto reale, su cui hanno il conto corrente, o hanno attivato un mutuo o un finanziamento, e a colpevolizzare in generale il “sistema delle banche”. È evidente che si tratta di una posizione irrazionale.
Questa dicotomia individua anche quella che può essere la strada da seguire d’ora in poi, è corretto?
Esattamente. C’è un rapporto di fiducia da rinsaldare e l’indicazione è di farlo ritessendo il legame con i territori. Alle banche che hanno storicamente un forte legame territoriale, infatti, viene riconosciuto un livello di maggiore fiducia, di maggiore vicinanza e comprensione di quelli che sono i problemi che il tessuto sociale sta attraversando. La parola d’ordina da cui ripartire è relazione, riannodare questo filo e rafforzarlo.
Più in generale, la fondazione Sodalitas ha avviato un percorso per ridefinire il valore della CSR. È un percorso davvero utile?
Le imprese che agiscono sul fronte della responsabilità sociale d’azienda fanno bene il loro dovere. Ma oggi bisogna fare un passo in più: è fondamentale che la responsabilità sociale si allarghi alle istituzioni, al non profit. Bisogna lanciare un programma di larghe intese a livello sociale, servono tavoli il più allargati possibile in cui si definiscano le priorità e le strategie. Non bastano più le dichiarazioni di buona volontà. Perché anche nel concepire la CSR, la crisi ha sovvertito le priorità. Se fino a due anni fa per CSR si intendeva sostanzialmente l’attivazione di politiche di sostenibilità ambientale, oggi la sostenibilità che conta è quella sociale ed economica: la difesa dell’occupazione, la strutturazione di politiche di welfare aziendale, attività di supporto al non profit. Non in una logica emergenziale, ma di lungo periodo, per creare valore condiviso.