Cattolica «Lo shopping può continuare»

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Al netto della complessa operazione Unipol-Sai, è la prima acquisizione per cassa nel settore delle assicurazioni da quando Generali acquisì Toro. Era il giugno del 2006. Ora però il Leone di Trieste siede sul lato del venditore e ha trovato un accordo per cedere a Cattolica di assicurazione il Fata, il Fondo assicurativo tra agricoltori. In totale 171 agenzie, in cambio di 179 milioni di euro. Giovanni Battista Mazzucchelli, milanese, 67 anni, è entrato in Cattolica nell’aprile 2007 e dal giugno 2008 è amministratore delegato del gruppo. Con il presidente di Cattolica, Paolo Bedoni, ha fortemente voluto questa operazione.
Mazzucchelli, perché questa acquisizione e perché Fata e non altri? In vendita in Italia c’è Carige e forse anche la rete dei francesi di Groupama…
«Questa operazione giunge al termine di un lungo percorso interno. Abbiamo verificato diverse opportunità e Fata è subito apparso come un buon affare. Opera in un segmento di mercato che ben si sposa con la nostra filosofia. Soprattutto è una buona società. Solida, capace di produrre utili».
Quanto ha pesato l’opinione e il passato del presidente Paolo Bedoni, già presidente nazionale di Coldiretti, nella scelta di investire in Fata?
«Cattolica ha da sempre una particolare sensibilità nei confronti del settore agroalimentare. La compagnia ha una visione positiva verso questo comparto, non v’è dubbio. Però la prima cosa che è stata valutata sono stati i numeri: il patrimonio e la capacità produttiva. Ed è questo che ha contato di più».
Come pagherete?
«In parte con mezzi nostri, in parte con un bond subordinato. Stiamo pensando a una obbligazione decennale di circa 70 milioni».
Farete un aumento di capitale?
«No».
Ma l’assemblea del 2012 ha deliberato di dare mandato al cda per operazioni sul capitale fino a 500 milioni di euro. Non utilizzerete quel mandato?
«No, lo ribadisco. I soci hanno dato fiducia a questo management e questo è il modo in cui il management di Cattolica risponde alla fiducia dei nostri soci. Non faremo alcun aumento di capitale per finanziare questa operazione».
Questo significa che ne avete altre allo studio?
«Significa che Cattolica è solida e che siamo pronti ad approfittare di possibili occasioni si venissero a presentare».
Siete interessati alle due compagnie del gruppo Carige?
«No».
E alla rete italiana di Groupama?
«Non abbiamo evidenze al riguardo».
Q uando è arrivato a Verona la compagnia stava per essere ceduta agli spagnoli della Mapfre. Avete evitato la cessione ma gli spagnoli sono ancora vostri soci importanti, controllando l’8,476 per cento del capitale. Come siete riusciti a cambiare programmi che sembravano definiti?
«Abbiamo rivendicato le nostre radici venete e veronesi. E ci siamo opposti alla firma degli accordi raggiunti in precedenza. Mapfre ha dimostrato grande maturità e, sebbene non si sia giunti a quell’accordo, abbiamo continuato a lavorare assieme e a mantenere le partecipazioni incrociate: Cattolica ha circa il 2 per cento di Mapfre Re, la compagnia di riassicurazione».
Un altro vostro socio è la Banca Popolare di Vicenza, con il 12,38 per cento. In una logica capitalistica, la banca vicentina è il vostro primo socio…
«Sì, ma la Cattolica è una mutua cooperativa. La Popolare di Vicenza è un socio importante, con cui collaboriamo volentieri. Agli sportelli della banca si vendono le nostre polizze, un’attività redditizia per noi e per loro e conveniente per la clientela».
Non è un accordo in esclusiva…
«Le nostre polizze sono veicolate anche attraverso gli sportelli di Ubi, con il marchio Lombarda Vita, che al 60 per cento è nel nostro portafoglio. Mentre in forza di un accordo con Iccrea, attraverso Bcc assicurazioni, vendiamo i nostri prodotti anche per il tramite della rete delle banche di credito cooperativo».
Cos’è cambiato in Cattolica in questi sei anni?
«Il management è cambiato per circa il 90 per cento. Abbiamo riorganizzato la nostra attività interna, di tre reti (Cattolica, Duomo e Uni One) ne abbiamo fatta una, intervenendo anche sulla governance , con un modello più snello».
Quale sarà la prima cosa che farete in Fata?
«Intanto dobbiamo arrivare al closing dell’operazione. Credo avverrà tra febbraio e marzo. Poi, non faremo niente. Niente. Fata va bene, manterrà organizzazione, indipendenza, marchio. Non ci sarà alcuna colonizzazione. Ci annuseremo per un po’, poi decideremo assieme come migliorare il nostro business. Di sicuro vogliamo aumentare i ratios patrimoniali e di solvibilità».
Sinergie?
«Soprattutto sui costi e nell’information technology ».
Tagli occupazionali?
«È una logica estranea a Cattolica. In questi anni di crisi il gruppo ha continuato a crescere e ad assumere». Avete chiuso la trimestrale al 30 settembre con un utile netto consolidato in crescita del 25 per cento a 65 milioni. Previsioni per fine anno?
«In linea con il budget, manterremo il nostro trend ».

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