Chi ha investito in Piazza Affari dopo il 2007 ha guadagnato molto di più rispetto a chi ha preferito i Bot
borsa italiana

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Però da fine 2004 la nostra Borsa è la peggiore per rendimenti fra le 23 big mondiali e l’unica in territorio negativo. E, pur avendo recuperato in classifica due posizioni, superando Russia e Brasile, resta 18esima per capitalizzazione dopo Johannesburg e Taiwan.
Nell’edizione 2015 di «Indici e dati»,rapporto che l’Ufficio studi Mediobanca realizza dal 1947,la Borsa italiana si conferma arretrata in termini di valore e numero di società quotate. Da fine 2004, quando Piazza Affari era l’undicesimo listino internazionale, la capitalizzazione è diminuita del 10,3% ai 523 miliardi di settembre 2015(542 a metà ottobre) e ciò ha portato il suo peso relativo sui mercati mondiali dal 2,3% all’1,1%. Piazza Affari ha dimostrato un dinamismo insufficiente nel «reclutare» matricole soprattutto di «peso» (il 2015 dovrebbe chiudersi con un saldo negativo di due unità tra quotazioni e delisting sull’Mta, considerando già anche l’Ipo di Poste Italiane) e resta la meno rappresentativa fra i principali mercati internazionali se si calcola il valore rispetto al Pil, pari oggi al 33% (il più alto degli ultimi sei anni, ma lontano dal 48% del decennio 1998-2007): i listini maggiori superano il 50% e ci precedono Indonesia (37%) e Messico (38%).
Certo, nel frattempo c’è stato il boom dei mercati emergenti, a cominciare da Shanghai che, pur dopo le cadute più recenti, in quasi 11 anni è passata da un valore di 231 a 3.527 miliardi, collocandosi prima per guadagni e quarta per dimensioni, dopo New York (Nyse e Nasdaq) e Tokyo. Boom che ha visto rialzi record degli indici: dal 2004 investire a Shanghai ha reso il 14,1% medio annuo (al 16 ottobre 2015, mentre era pari al 17,6% a giugno di quest’anno), in Indonesia il 12,9%, a Bombay l’11,2%. In Italia invece ha comportato una perdita media del 2,6% (pari in totale nel periodo a un quarto del valore).
Chi ha investito nel «momento giusto» ha però ricavato soddisfazioni, soprattutto rispetto ai Bot, i titoli «risk free». Nel rapporto viene sottolineato che un investimento in Borsa negli ultimi vent’anni avrebbe garantito un rendimento medio annuo superiore all’impiego in Buoni del Tesoro in 13 casi su 20. E in particolare da fine 2008 si apre la «forbice»: se si considera l’indice total return (che comprende il reimpiego dei dividendi) chi ha investito a fine 2008 ha guadagnato su base annua fino a metà ottobre 2015 il 6,75%, mentre preferendo restare sui Bot avrebbe incassato l’1,38%. Chi poi ha acquistato azioni a fine 2014 ha «portato a casa» il 28,9% contro lo 0,16% dei bond governativi.
Per quanto riguarda raccolta di nuove risorse e dividendi, in Piazza Affari le ricapitalizzazioni restano alte ma sempre nel «segno» delle banche. Nei primi sei mesi del 2015 sono stati realizzati aumenti per 4,1 miliardi (3 del solo Mps) e nel 2014 per 12,3 miliardi. Dal 1990 sono stati raccolti in Borsa 176 miliardi, e dal 2005 100: le sole banche, dal 2008, ne hanno ricevuti 48. Contemporaneamente i dividendi sono calati dai 28 miliardi di competenza del 2005 ai 14,9 del 2014, distribuiti nel 2015, in ripresa comunque rispetto ai 13 dell’anno prima.

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