Concessione del prestito a patto che la fedina social sia pulita
Concessione del prestito a patto che la fedina spesa pubblicitaria

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Detto in altri termini, curare poco e male i propri profili Facebook o LinkedIn può portare la società finanziaria a negare la concessione di denaro; vice versa, una buona immagine di sé e degli amici virtuali attivi possono agevolarne l’ottenimento.

Non è la prima volta che il mondo mediatico entra prepotentemente in una realtà fatta di cifre e denaro: già le agenzie fiscali (prima quelle americane di Minnesota e Nebraska, poi le Entrate italiane) avevano ventilato la possibilità sul finire del 2010 di utilizzare i canali social per stabilire se quanto dichiarato nei redditi fosse in linea con lo stile di vita condotto. Beauty farm, regali di valore e vacanze ai tropici, si pensava, sarebbero diventati il nuovo passaporto del contribuente. Così è stato. I big data starebbero infatti cambiando le modalità con cui le società finanziarie raccolgono informazioni per valutare l’aleatorietà del cliente; in altre parole, profilo social del richiedente e profilazione del rischio-cliente assumeranno via via la medesima forma. Ad oggi per l’Italia tale sistema non sembra essere ancora utilizzato, ma il web corre veloce. Come precisato anche dall’università Bocconi di Milano, taluni enti del credito, allo scopo di stimare quanto l’individuo in questione abbia stabilità in termini lavorativi e dinamicità nella ricerca e nell’ottenimento di nuovo impiego, attingono a LinkedIn, il social network in doppiopetto che permette l’inserimento degli studi sostenuti, della carriera trascorsa e del feedback da parte dei professionisti iscritti. Altre società sperimentano invece l’approccio con Facebook, richiedendo un accesso temporaneo al profilo del soggetto. Una strategia, questa, avente duplice effetto: da un lato, valutare tramite immagini pubblicate e post condivisi in bacheca lo stile di vita e le possibilità finanziarie del cliente (con, ad esempio, foto che riprendono la casa, il nucleo familiare, il posto di lavoro, gli ambienti frequentati o le mete di vacanza); dall’altro, di compiere uno screening completo dei «seguaci» più attivi, tramite l’impiego di algoritmi che consentono di individuare parole calde frequenti e proattività alla discussione. Il fatto di avere amici facoltosi o molto partecipativi non indica certo che costoro siano effettivamente disposti a intervenire per ripagare il prestito eventualmente non saldato dal cliente a scadenza; tuttavia, quanto più stretto è il legame tra l’acquirente e l’amico benestante, tanto maggiore dovrebbe essere la possibilità che quest’ultimo sia disposto a venire in soccorso dell’amico. Due esempi concreti applicati già dal 2013 sono quelli forniti dalle società statunitensi LendUp e Lenddo, la prima, interessata alla quantità di amici: più sono i contatti che il cliente dimostra d’avere, più sono maggiori le possibilità di ammortizzare il rischio; la seconda, che ha optato invece per l’utilizzo degli amici social come campione medio di comportamento, negando il prestito a coloro che sul web interagiscono con contatti ritenuti «cattivi pagatori». Avere pochi amici sul social, in ogni caso, può esser sintomo di mancanza di una rete di conoscenze e, dunque, di ostacolo al finanziamento. Sebbene il fenomeno sia ancora in fase sperimentale, alcune evidenze sembrano dimostrare esita un doppio beneficio: per i clienti inseriti all’interno del network, tassi di interesse più bassi; per le finanziarie, una profilazione più completa.

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