Crescono le applicazioni basate sull’autenticazione condivisa
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A smentire l’opinione che il tema blockchain riguardi solo complicati tecnicismi a uso e consumo del mondo finanziario, cominciano ad affacciarsi sulla scena della tecnologia applicata alla quotidianità interessanti declinazioni dei sistemi di “autenticazione condivisa” che stanno alla base dell’interesse che ruota intorno a questa innovazione.
Ad aprire lo sguardo sulle potenzialità “altre” della blockchain è stato, all’ultimo Air Transport IT Summit di Barcellona , Dave Bakker, presidente della branch europea di Sita, la principale società per la connessione e la tecnologia digitale del settore aereo, che ha annunciato come i laboratori di ricerca della sua azienda stiano lavorando a una soluzione basata su blockchain per dotare i passeggeri di un’identità biometrica “certificata” attraverso sistemi di autenticazione condivisa: un sistema che consentirebbe di associare a ogni viaggiatore un unico profilo di identità (nello specifico, una sorta di bar code personalizzato, tecnicamente, un token, scaricato sul proprio smartphone) riconosciuto e riconoscibile da tutti i sistemi di controllo, dal check-in fino ai controlli doganali, ai transiti tra di passeggeri tra compagnie diverse, alla tracciabilità del bagaglio ecc. Una sorta di “gettone digitale” , così è stato definito, valido per tutta la durata del singolo viaggio, che consentirebbe di bypassare tutta la burocrazia della sicurezza basata oggi sul tradizionale passaporto. Il passaporto e tutti gli altri documenti di viaggio (biglietti ecc.) verrebbero sostituiti dal Single Travel Token , una sorta di passaporto digitali certificato dalla rete fin dalla sua emissione, in nessun modo falsificabile perché immateriale. Insomma, gli aeroporti cinesi non dovrebbero fidarsi di quelli americani e viceversa: la prova dell’autenticità di quell’elemento identificativo è custodita nella catena di blocchi.
Con un vantaggio in più, proprio per questo, per quanto riguarda la tutela della privacy del viaggiatore: essendo un sistema di riconoscimento diffuso e condiviso, affidato alla potenza di calcolo dei singoli blocchi della “catena”, le autorità locali (Forze dell’Ordine, Immigration ecc.) avrebbero la possibilità di effettuare controlli semplicemente, attraverso la scansione del codice passeggero, ma senza che le informazioni personali siano memorizzate dalle varie autorità o governi. O, peggio, hackerate da qualche malintenzionato. Come ha spiegato Bakker, « nella tecnologia blockchain privacy e sicurezza sono “by design”, ovvero sono insite nella stessa natura di questa tecnologia. Nel caso che stiamo affrontando rispetto al traffico aereo, il sistema consente che i dati dei passeggeri siano sicuri, criptati, a prova di manomissione e inutilizzabili a qualsiasi altro scopo e, allo stesso tempo, elimina il bisogno di una singola autorità di possedere, processare o registrare i dati. La forza della blockchain è proprio questa: permette di creare database decentralizzati, ben distribuiti, che non possono essere manomessi».
«Se questo sistema si sviluppa come speriamo», dicono da Sita, « prenotare un volo diventerà semplice come usare Uber ». Lo sforzo di pensare a una soluzione del genere, che prevede anche alcuni assunti significativi come l’idea che il passeggero una volta in movimento possa non avere più accesso a connessioni Internet, è notevole. Richiede la capacità di rispondere ai requisiti e alle richieste di soggetti molto diversi, comprese le autorità nazionali che emettono i passaporti e i visti e che effettuano i controlli di frontiera. Il limite? Non è tanto tecnologico, ma sta nella premessa fondamentale: che tutte le realtà e autorità coinvolte in questo processo accettino questo standard e lo rendano interoperabile : «La gestione delle identità digitali in modo smart richiede negoziazioni e numerosi accordi per funzionare», si limita a ribattere Bakker alle domande che chiedono quale orizzonte si dia per l’implementazione di questo progetto visionario. La palla passa alla politica, insomma.
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