Finanza agevolata e mutui con rischio contenzioso

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La finanza agevolata può nascondere delle vere e proprie trappole per le imprese a digiuno di robuste competenze sulle procedure e sui termini – anche contrattuali – delle misure di cui si beneficia.

Emblematico al riguardo è il caso di un’impresa che, nell’ottica di rifinanziare un contratto di finanziamento agevolato a tasso fisso, aveva esercitato la facoltà di estinzione anticipata del mutuo, confidando nel fatto che gli interessi decorsi fino a quel momento sul capitale mutuato fossero stati integralmente corrisposti, in parte dal Ministero (per la componente agevolata) e in parte dalla stessa impresa (per la parte non agevolata).
Il contratto prevedeva la restituzione dell’importo mutuato sulla base di un piano di ammortamento ad un tasso fisso di riferimento, parte del quale era corrisposto direttamente dal ministero dello Sviluppo economico alla banca finanziatrice secondo quanto previsto dalla legge 1 marzo 1986, n. 64 all’epoca in vigore sulla «Disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno». Senonchè alla luce di tale norma e del relativo regolamento attuativo il Mise erogava il contributo in rate costanti di eguale importo, mentre il piano di ammortamento del mutuo prevedeva rate di identico ammontare, che però avevano una diversa composizione tra sorte capitale e sorte interessi: all’inizio del piano di ammortamento la sorte interessi era prevalente sulla sorte capitale mentre man mano che il capitale veniva restituito tale rapporto tendeva ad invertirsi. Così nel momento in cui la società mutuataria aveva esercitato il diritto di estinzione anticipata del mutuo, a causa del disallineamento tra il piano di ammortamento del mutuo e la tempistica di erogazione del contributo in conto interessi a carico dell’ente pubblico, l’importo corrisposto dal ministero fino ad allora risultava sensibilmente inferiore alla quota maturata a titolo di interessi per la componente agevolata.
Di conseguenza la banca ha citato in giudizio la società mutuataria chiedendo il pagamento della differenza (per diversi milioni di euro) tra gli interessi maturati al tasso di riferimento e quanto invece effettivamente versato a titolo di interessi dalla società e dal Mise rispettivamente, fino alla data di estinzione anticipata.
Poiché in base alle disposizioni di legge applicabili al contratto di finanziamento agevolato in questione (articolo 67, comma 1, Dpr n. 218 del 6 marzo 1978) l’estinzione anticipata del mutuo determinava per legge l’interruzione del contributo del Mise, l’impresa è stata condannata a pagare alla banca la differenza, senza però poter recuperare l’importo dal ministero per effetto della decadenza dal contributo da essa stessa determinata con la propria volontaria estinzione anticipata.
Il Tribunale di Napoli ha infatti ritenuto che, pur in assenza di specifiche clausole nel contratto di mutuo al riguardo, l’impresa fosse tenuta a corrispondere alla banca l’intero tasso di riferimento in quanto la decadenza del contributo non era a quest’ultima imputabile, sulla base del principio che le vicende relative all’agevolazione finanziaria non incidono sull’obbligazione caratteristica del mutuatario di rimborsare per intero il capitale mutuato ed i relativi interessi.
Questo principio dovrebbe trovare applicazione anche in relazione alle norme in materia di finanza agevolata che hanno sostituito le leggi precedentemente in vigore, tra cui il Dl n. 83 del 22 giugno 2012 convertito con legge n. 134 del 7 agosto 2012 che ha introdotto nell’ordinamento il Fondo speciale rotativo (denominato «Fondo per la crescita sostenibile»).
Peraltro nei testi contrattuali ora utilizzati dalle banche vi sono spesso clausole “di chiusura” che ribadiscono questo principio per cui, salve le ipotesi di dolo o colpa delle banche stesse, è l’impresa, quale beneficiaria dell’agevolazione, a dover subire qualsiasi conseguenza derivante dalla mancata erogazione, decadenza o sospensione del contributo pubblico.

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