Generali, Crt e Ferak verso il divorzio I veneti «disponibili» a rilevare la quota

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Si va verso un divorzio tra Fondazione Crt e Ferak, la società che raggruppa gli azionisti veneti di Generali? La voce corre da tempo alimentata sia dalle divergenze relative al dossier Unipol-Fonsai, che ha visto Palladio, uno dei principali soci di Ferak, presentare con la Sator di Matteo Arpe una proposta alternativa a quella del gruppo bolognese, sia dalle indagini interne condotte da Mario Greco, amministratore delegato del Leone, sul portafoglio investimenti e in particolare su alcune operazioni compiute nel corso della gestione dell’ex group ceo triestino, Giovanni Perissinotto, con la Palladio di Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago e altri imprenditori veneti.
Nei giorni scorsi, secondo quanto si apprende, Ferak (che ha fra i soci, oltre a Palladio, la Finint di Marchi-De Vido, Veneto Banca e le famiglie Amenduni e Zoppas), ha espresso la disponibilità alla Fondazione Crt a rilevare, in caso di «divorzio» l’intera quota di Generali, pari al 2,2%, detenuta dalla comune scatola societaria Effeti, nella quale i soci veneti hanno il 50,1% e Torino il 49,9%. Una manifestazione solo verbale, viene precisato dopo indiscrezioni di Repubblica su un passo formale, senza presentazione di un’offerta.
Le voci di possibile un «divorzio» e quindi di una scissione di Effeti vengono certo confermate implicitamente dalla disponibilità che avrebbe rappresentato Ferak, azionista anche in modo diretto di Generali con l’1,6%. Tuttavia bisogna vedere prima di tutto in qual modo la tempistica della separazione possa essere influenzata dai corsi di Generali e dai valori di carico dei titoli: Effeti è stata costituita per rilevare parte della quota di Generali che Unicredit ha dovuto vendere per motivi Antitrust e i titoli, pagati 600 milioni (per 300 con un finanziamento di Veneto Banca), sono in portafoglio a circa 18 euro contro un valore di mercato attuale pari a 13,82. Logica puramente economica, come ha sottolineato fra l’altro ieri il Gazzettino in un articolo dedicato alla «battaglia» di Trieste e alla «parabola dei soci veneti», suggerirebbe dunque di procedere allo scioglimento della joint venture una volta venuta meno la certezza di accusare minusvalenze.
Timing non prevedibile, nonostante l’azione della compagnia abbia guadagnato da agosto, e quindi dal cambio al timone, oltre il 40%. E le attese degli investitori sul piano Greco, che verrà presentato il 14 gennaio, siano favorevoli. Quando poi per il «divorzio» si passerà dai contatti verbali ai negoziati formali, bisognerà vedere le disponibilità finanziarie effettivamente spendibili per un investimento così rilevante.

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