Il collasso dei prezzi delle commodities ha scatenato una seconda crisi del credito
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Gli investitori stanno infatti vendendo a man bassa i bond ad alto rendimento, mandando in mille pezzi quella fiducia che è necessaria a sostenere i mercati globali. E chi parla del momento Lehman dimentica la storia. Gli eventi attuali hanno similitudini agghiaccianti con il collasso di Bear Stearns e individuano l’inizio di una nuova crisi, non la fine”.

John Ficenec non ha dubbi e spiega il suo punto di vista nell’articolo pubblicato sul Telegraph “Commodity contagion sparks second credit crisis as investors panic” (ovvero, “il contagio tra le materie prime scatena una seconda crisi del credito, con gli investitori che vanno nel panico).

“Il mondo del trading sulle commodities è nel caos, causa il balzo dei costi da sostenere per finanziare le operazioni – Glencore è diventato il simbolo delle preoccupazioni che attanagliano il settore, con i suoi titoli azionari che hanno più che dimezzato il loro valore negli ultimi sei mesi. Ancora più preoccupante è stato l’impatto sul profilo del credito del gruppo”, dunque sul valore delle obbligazioni emesse.

Di fatto, i bond Usa emessi da Glencore con scadenza nel 2022 sono collassati a un valore di 82 centesimi di dollaro; soltanto quattro mesi prima, erano stabili attorno a 100 centesimi e chi aveva prestato denaro al colosso, sottoscrivendo le obbligazioni, era sicuro che avrebbe ricevuto indietro il capitale investito, più gli interessi.

“Ora, per ogni dollaro prestato a Glencore, le banche fanno fronte a perdite e, a fronte della flessione del prezzo dei bond, i rendimenti sono saliti al 7,4%”.

L’articolo emette anche una dura sentenza: “Senza l’ossigeno del ‘cheap debt’, della moneta facile e del debuto conveniente, le società di trading sono finite. Ogni trade di petrolio o di minerale di ferro potrebbe generare solo l’1-2% di margini – ma tale fattore tende a crescere in modo molto sostenuto, quando viene amplificato dal debito”.

“Glencore è un affare redditizio se e quando la società riesce finanziarsi a un tasso del 4% circa; ma se il rifinanziamento avviene a tassi tra il 7 e il 10%, quei margini di profitto già sottili evaporano”. E Il Telegraph mette in evidenza come il timore di chi ha in portagoglio bond di Glencore sia confermato dal balzo dei prezzi dei cds (credit default swap, o contratti per assicurarsi contro il rischio di default).

Nel caso di Glencore, i CDS a cinque anni sono infatti volati a 625, dai 280 circa di appena un mese fa. E il punto è che di solito un cds con un valore superiore a 400 implica un “grave rischio di default, o una chance del 25% nei cinque anni successivi”.[ARTICLEIMAGE]Il contagio si è già propagato e a soffrire sono altre società che fanno trading sulle commodities.

Tra queste, Trafigura, il cui debito è scambiato sui mercati regolamentati: in questo caso il valore dei bond è crollato a 86 centesimi di dollaro, in corrispondenza di interessi all’8,9%. Noble, società di trading con sede a Singapore, ha visto le sue azioni scivolare e i profitti della divisione di trading sui metalli del primo trimestre capitolare -98% ad appena 3 milioni di dollari.

La fase in cui l’intero settore potrebbe trovarsi potrebbe essere quella dell’esplosione della crisi del credito, che si tradusse PRIMA nel collasso di Bear Stearns e poi nel crac di Lehman Brothers, nel settembre del 2008. E noi ci troveremmo ora nella ‘fase’ Bear Stearns, dunque soltanto all’inizio.

Il Telegraph avverte: “i mercati del credito stanno mostrando livelli estremi di stress. Il numero di accordi siglati nel mercato del debito ad alto rendimento è crollato -60% nel terzo trimestre, rispetto al trimestre precedente, stando ai dati di Dealogic. Le società che sono riuscite ad avere accesso ai finanziamenti sono state costrette a pagare gli investitori tassi di interesse decisamente più alti rispetto al valore dei fondi presi in prestito”.

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