Il difficile governo in banca

Ancora nessun commento

Banca D'ItaliaE per le banche si apre anche il cantiere della governance . Certo, come si è potuto verificare nei giorni scorsi anche dalla sessione di incontri organizzati come ogni anno a Milano da Ubs fra investitori internazionali e banchieri italiani, sono redditività e patrimonio le priorità per chi guarda ai nostri istituti come asset su cui puntare. Ma a orientare le scelte non secondario è il governo societario.

In seguito alle recenti disposizioni di Bankitalia, alle quali gli istituti devono adeguarsi entro il 2017, piuttosto stringenti e «severe» nei confronti di board pletorici e in gran parte eredità della passata stagione delle fusioni, per le banche è cominciata la marcia verso le riforme, che spesso consistono anzitutto in un taglio al numero dei componenti gli organi di governo societario.
Big in prima fila
Il primo fra i big del settore ad affrontare il dossier con scelte definitive sarà Unicredit, perché proprio quest’anno in primavera è in calendario il rinnovo del consiglio. Nelle scorse settimane si sono riuniti i comitati interessati al tema e l’orientamento è passare dagli attuali 19 componenti a 17, numero superiore al limite massimo (pari a 15) per chi adotta il modello di board tradizionale, ma le disposizioni della vigilanza ammettono «casi eccezionali» che vanno «analiticamente valutati e motivati» nelle banche di «maggiori dimensioni e complessità operativa» (il tetto di 19 è consentito solo al monistico, di rara applicazione, che rappresenta in sostanza un mix fra board e collegio sindacale). La partita per l’istituto presieduto da Giuseppe Vita entra dunque subito nel vivo, sebbene non sia ufficialmente all’ordine del giorno del board in calendario per domani. Passo preliminare sarà il cambio di statuto, che attualmente prevede un numero di consiglieri variabile fra nove e 24. Il tema su chi dovrà rinunciare o limitare la rappresentanza sarà meno «accademico» e l’esito sarà particolarmente interessante, considerato il fatto che nella banca oggi le fondazioni detengono complessivamente circa il 9% mentre i primi due soci sono il fondo sovrano di Abu Dhabi Aabar con il 5% e il gestore di fondi Usa BlackRock con circa il 4,6%.
Forse però l’esito più atteso rispetto al cantiere della governance riguarda l’altra big italiana, Intesa Sanpaolo, nonostante l’orizzonte si sposti all’anno prossimo, quando nella primavera 2016 ci sarà il rinnovo delle cariche. Tuttavia è probabile che le decisioni vengano prese in anticipo, cioè entro l’anno.
Miglioramenti
La banca, come ha detto il presidente Giovanni Bazoli (che guida la commissione ad hoc ), «migliorerà» il sistema duale basato su i consigli di sorveglianza e gestione, o sceglierà di passare al sistema tradizionale. In ogni caso si va dunque verso un cambiamento che potrà essere radicale. Il duale è stato adottato con la fusione Milano-Torino, rivelandosi molto efficace nel risolvere i problemi «politici» di governo societario in queste occasioni. Poi però soprattutto con la crisi, tra sovraccarico di posizioni e criticità relative soprattutto alle distinzioni di ruoli e responsabilità fra i vari organi, il modello a doppio board è stato abbandonato in alcuni casi e sottoposto a riflessioni in altre. Sarà quindi non di poco conto la scelta se mantenerlo rivisto o lasciarlo da parte di Intesa. Che dovrà in ogni caso provvedere a ridurre le dimensioni dell’attuale sistema di governo: le disposizioni di Bankitalia indicano per il duale un massimo di 22 componenti fra sorveglianza e gestione, con una soglia per quest’ultimo di sette partecipanti. Oggi invece siamo in tutto a 29.
Tagli e limature
Dovrà procedere a tagli anche Ubi, che ha già deciso di mantenere il duale ma dovrà adeguare i numeri, visto che oggi in tutto i componenti sono 28, 17 nel consiglio di sorveglianza e 11 in quello di gestione: l’appuntamento è per il rinnovo nella primavera del 2016. E una sforbiciata toccherà più tardi al Banco Popolare. L’istituto guidato da Pier Francesco Saviotti ha lasciato da tempo il duale per il tradizionale ma ha nominato i 24 componenti l’anno scorso: se ne riparla dunque nel ‘17, in linea con la scadenza fissata dalla vigilanza. In ottobre sarà poi la volta di Mediobanca. Una prima tranche di riforma è già stata realizzata con la scorsa assemblea che ha rinnovato i vertici, i tempi erano però troppo stretti per operare già modifiche statutarie. Che arriveranno con la seconda tranche e quindi in occasione della prossima assemblea dei soci, in calendario appunto a fine ottobre. Il consiglio, portato a 18 componenti nel 2014, verrà limato ulteriormente a 15 e avrà fra i componenti (secondo quanto già indicato dal board) «un congruo numero di dirigenti del gruppo».
Gli appuntamenti dei big non esauriscono però le attese di quanto accadrà sul fronte del governo societario nei prossimi mesi. Da un lato bisognerà vedere come procederanno gli istituti nei confronti della possibile adozione del voto maggiorato. Dall’altro è legittimo attendersi che i provvedimenti sul credito annunciati dal premier Matteo Renzi venerdì producano effetti sulle Popolari, la cui governance è guardata con una certa freddezza dagli investitori internazionali. Così è possibile che anche in istituti dove il cammino delle riforme è stato spesso accidentato come Bpm, si registri un’accelerazione anche più significativa rispetto ai lavori avviati dal presidente Piero Giarda e dall’amministratore delegato Giuseppe Castagna. Sul terreno delle Popolari tuttavia è verosimile prospettare anche qualcosa di più «sistemico»: una stagione di nuove aggregazioni.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI