Il futuro dello smart working è incerto, almeno in Italia
Se nelle fasi iniziali della pandemia lo smart working appariva indispensabile, a un anno e mezzo dalle prime esperienze massive di lavoro a distanza la gran parte delle aziende del nostro Paese sembra orientata verso l’adozione di formule ibride.
smart working

Ancora nessun commento

Se nelle fasi iniziali della pandemia lo smart working appariva indispensabile, a un anno e mezzo dalle prime esperienze massive di lavoro a distanza la gran parte delle aziende del nostro Paese sembra orientata verso l’adozione di formule ibride. Con una tendenza, spesso non dichiarata ma piuttosto esplicita, a spingere per il rientro in ufficio.

Lavoro da remoto, l’indagine: il 55% delle azienda usa il lavoro ibrido

Un’indagine di Manageritalia ha rivelato che prima della pandemia solo il 7% delle aziende lavorava con la maggioranza dei dipendenti da remoto: dopo un anno e mezzo di Covid-19, la percentuale è salita all’11%. I numeri cambiano se invece si considerano le aziende che applicano regimi misti, che prevedono giorni di lavoro a distanza e giorni di lavoro in presenza. Queste formule, secondo l’indagine, prima del 2019 erano adottate dal 20% delle realtà produttive, mentre oggi ne usufruisce il 55%. A optare per questo genere di soluzioni sono state anche multinazionali del calibro di Amazon, Google e Apple, che avrebbero scelto lo schema che prevede tre giorni alla settimana in ufficio e due a casa: i piani di rientro, originariamente previsti per l’autunno, sono stati tuttavia rinviati all’inizio del 2022.

Il new normal dei manager? Lavorare per l’estero senza muoversi dall’Italia

Nei prossimi mesi è facile quindi immaginare uno scenario di tensioni tra chi preme per il “rientro alla normalità”, cioè a situazioni e schemi che non tengono conto dell’esperienza degli ultimi due anni, e chi invece intende approfittare delle nuove opportunità che la pandemia ha aiutato a emergere. Ad esempio, la possibilità di lavorare da remoto per aziende straniere: un’indagine di Wyser, società di Gi Group che si occupa della selezione di profili manageriali, ha svelato che il 93% del campione – 1500 professionisti e manager italiani – sarebbe favorevole ad avviare un rapporto professionale con realtà internazionalisenza muoversi dall’Italia. Le motivazioni sono diverse: vivere un’esperienza internazionale senza allontanarsi dalla famiglia, esplorare nuove prospettive e metodologie, affrontare nuove sfide, aiutare l’ambiente riducendo gli spostamenti casa-ufficio. Il campione non si rivela neanche spaventato dalla mancanza di contatto umano, perché le relazioni “si possono coltivare anche dietro uno schermo”.

Lavorare per l’Italia dall’estero: ecco le mete più gettonate

Dai risultati dello studio sembra che i lavoratori considerino prioritario sfruttare appieno le potenzialità del lavoro da remoto, confermando i risultati di una ricerca del 2020, in base alla quale il 60% dei lavoratori si dichiarava pronto a cambiare lavoro in caso di un ritorno a tempo pieno in ufficio. Non manca nemmeno chi vorrebbe fare l’esperienza opposta, cioè lavorare per l’Italia da un altro Paese. La meta più gettonata per un’esperienza professionale oltreconfine – secondo il 42% dei partecipanti al sondaggio – è la Spagna, seguita da Regno Unito (31%) e Francia (11%). “La dematerializzazione del luogo di lavoro apre a nuove e stimolanti opportunità per la carriera dei professionisti italiani. La possibilità di sviluppare e mantenere rapporti di lavoro da e per l’estero rappresenta una fonte di arricchimento non solo dal punto di vista professionale ma anche personale”, osserva Carlo Caporale, amministratore delegato di Wyser Italia. Per il manager “latendenza a un rientro in ufficio, anche solo parziale, non si pone in contraddizione con quanto rilevato dall’indagine. Quello che portiamo a casa dalla difficile esperienza passata è un cambio di prospettiva, a partire dalla consapevolezza che un’organizzazione del lavoro ibrida è possibile e può essere anche più efficiente in termini di performance, di logistica e di costi”.

Cosa facciamo in ufficio

Secondo Caporale “bisogna interrogarsi su quali attività andiamo a fare in ufficio, perché accanto a quelle che beneficiano dello scambio e del contatto umano con il team ve ne sono altre che invece richiedono concentrazione e solitudine e che vengono svolte molto più efficientemente da casa o altri luoghi dove si può lavorare indisturbati, gestendo il proprio tempo senza l’obbligo di inutili e talvolta stressanti spostamenti su mezzi di trasporto affollati o in auto. In questo senso, se vogliamo, l’organizzazione del lavoro ibrida può essere anche ecologica”. Per l’ad di Wyser Italia “si tratta di ripensare vecchi e rigidi paradigmi per aprirsi a nuovi scenari, più flessibili. Tra questi, c’è anche la possibilità di lavorare da un Paese diverso da quello in cui ha sede l’azienda, arricchendo il proprio bagaglio professionale e personale e portando nuove conoscenze all’interno dell’organizzazione, magari incontrando di persona colleghi e collaboratori in occasioni periodiche calendarizzate”. Di certo “non esiste una risposta univoca alla fatidica domanda su quale sia il futuro del lavoro. Piuttosto, è ormai necessario per tutte le aziende un attento bilanciamento tra obiettivi di business e esigenze delle proprie persone: la capacità di ascolto dei bisogni è diventata un fattore chiave per attrarre nuovi talenti”.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Reddit
Tumblr
Telegram
WhatsApp
Print
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ALTRI ARTICOLI