La norma introdotta con la legge di Stabilità 2015 e poi modificata con l’Investment Compact, prevede una tassazione agevolata dei redditi derivanti dai beni immateriali, cioè brevetti, marchi, disegni, modelli, processi e formule suscettibili di tutela legale: la detassazione raggiungerà il 50% nel 2017, quando la norma sarà a regime, per il 2015 e 2016 sarà del 30% e 40%.
Il testo, che è stato licenziato dal ministero dello Sviluppo il 27 marzo, ora è al Tesoro. L’obiettivo della norma è attrarre o riportare in Italia i beni immateriali detenuti all’estero e nello stesso tempo evitare che le aziende portino i propri brevetti e marchi fuori confine, favorendo così gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo. L’Italia è arrivata in ritardo rispetto ad altri Paesi Ue come Belgio, Francia e Gran Bretagna che da tempo hanno introdotto agevolazioni simili. Ma rispetto agli altri modelli adottati, il nostro allarga il perimetro dei beni immateriali con reddito agevolabile. «Il sistema italiano è esteso anche ai marchi – spiega Stefano Simontacchi, direttore del Transfer pricing research center della Leiden University —, non è limitato ai redditi derivanti dall’ipotesi classica di concessione in uso a terzi, ma è utilizzabile anche da parte del cosiddetto proprietario economico e non solo da chi ha la titolarità giuridica del bene, e l’agevolazione può essere ottenuta anche da chi utilizza direttamente i beni. La norma è un passo avanti per attrarre investitori, ma non basta: c’è un problema di affidabilità del Paese, è necessario ridare una visione di medio lungo termine». Il decreto scioglierà i dubbi sulle spese da considerare (in linea con l’Ocse) per determinare la quota di reddito agevolabile, che sarà definita sulla base del rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento e l’accrescimento del bene e i costi complessivi per produrre il bene. Aspetto fondamentale per le imprese per programmare gli investimenti.