Il sequestro preventivo a favore dell’Agenzia delle entrate è legittimo solo se esiste il pericolo di dispersione dei beni
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In presenza di un consistente patrimonio e di un sequestro preventivo già operato in sede penale, quindi, la richiesta della misura cautelare va rigettata. Il principio è stato affermato dalla Ctp di Milano nella sentenza 3119/1/15 depositata il 1° aprile 2015 (presidente e relatore Roggero).
L’agenzia delle Entrate presentava alla commissione tributaria un’istanza per l’iscrizione del sequestro conservativo sugli immobili di una società. L’articolo 22 del Dlgs 472/97 prevede, infatti, che l’ufficio possa chiedere con istanza motivata al presidente della Ctp, se ha il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e l’autorizzazione a procedere al sequestro conservativo dei loro beni a mezzo di ufficiale giudiziario.
La misura era stata richiesta fino a concorrenza dell’importo equivalente alla somma pretesa con un avviso di accertamento precedentemente notificato, motivata sul presupposto che la contribuente aveva un patrimonio sproporzionato rispetto al debito tributario e, nell’ultimo periodo, aveva compiuto numerosi cambi di compagine sociale a dimostrazione dell’intenzione di disperdere la possibile garanzia per l’erario.
La società si difendeva evidenziando che le prove prodotte dall’ufficio non dimostravano il pericolo per la riscossione. I giudici, rigettando la richiesta, hanno innanzitutto rilevato che la contribuente era proprietaria di circa cinquanta immobili, il cui valore garantiva ampiamente la pretesa impositiva. Questa circostanza escludeva già di per sé la sproporzione tra il patrimonio e il debito tributario. Hanno poi ritenuto determinante, per l’assenza del pericolo di dispersione dei beni, un’altra misura cautelare già adottata ai fini penali: gli immobili della società erano stati oggetto di sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca. Il provvedimento emesso dal Gip era relativo a un procedimento penale parallelo a quello tributario, avviato su segnalazione della Gdf dopo la verifica prodromica all’accertamento notificato. L’Agenzia, in altre parole, aveva richiesto il sequestro su dei beni già sequestrati in ambito penale, a garanzia della medesima pretesa erariale.
La Ctp, infine, ha rilevato che nemmeno il comportamento della contribuente dimostrava l’intenzione di sottrarre garanzie all’erario. Infatti nel 2014 non c’era stata alcuna compravendita e, contrariamente a quanto lamentato dall’Agenzia, non c’era stata alcuna variazione nella compagine sociale.
La pronuncia appare particolarmente interessante poiché il collegio milanese ha compiuto un’analisi valutando una pluralità di elementi sia oggettivi (legati cioè alla consistenza patrimoniale) sia soggettivi (sulla condotta della contribuente).
Negli ultimi tempi gli uffici, soprattutto in presenza di violazioni di rilevanza penale, procedono con la richiesta della misura cautelare, quasi in via automatica, a prescindere cioè dalla concreta esistenza di un timore per la riscossione. Il contribuente quindi, nella propria difesa, dovrà dimostrare l’insussistenza del rischio di dispersione.

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