Imprenditore condannato per non aver pagato 1100 euro di contributi
riconoscimento

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La Corte di cassazione, con la sentenza 47256 depositata ieri, respinge il ricorso di un imprenditore, condannato per non aver pagato i contributi ai dipendenti, che chiedeva ai giudici di riconoscere l’inoffensività della condotta dal punto di vista penale o, in subordine, l’applicazione dell’articolo 131-bis (Dlgs 28/2015) che esclude la punibilità quando l’offesa non è rilevante. Richieste più che giustificate, ad avviso della difesa, in considerazione della cifra evasa decisamente contenuta: 1.100 euro.
La Cassazione in prima battuta esclude l’inoffensività della condotta che, secondo il ricorrente, doveva derivare da una corretta lettura della sentenza della Corte costituzionale (139/2014) sulla scia della quale il giudice è tenuto a valutare l’offensività dell’azione misurandola sull’obiettivo delle norma incriminatrice. E dunque ad escludere l’offensività quando la lesione al bene tutelato sia effettivamente irrilevante o inesistente.
Un criterio che, nel caso esaminato, non può trovare applicazione. I giudici pur ammettendo che la cifra dei contributi evasi è contenuta, affermano che la condotta è tale da arrecare un vulnus, si pure limitato, «alla gestione delle risorse finanziarie cui le contribuzioni omesse avrebbero dovuto accedere».
Non va meglio con la particolare tenuità del fatto sia pure per ragioni diverse.
Per l’applicazione del beneficio è necessario che il richiedente abbia le “carte in regola” su due fronti: l’offesa arrecata deve essere particolarmente “limitata” e il comportamento non abituale.
Dei due requisiti, che devono essere congiunti e non alternativi, il secondo manca.
La contestazione mossa al ricorrente si riferiva, infatti, a più condotte di omissione dei versamenti delle ritenute previdenziali e assistenziali. A carico dell’imputato c’era poi anche una condanna, passata in giudicato, per evasione fiscale. E non è stato di aiuto neppure l’intervenuto condono che, sottolinea la Suprema corte, è rilevante solo ai fini dell’estinzione della pena.
Per la Cassazione si tratta di reati della stessa indole. Ad essere accomunati, precisano i giudici, non sono solo i reati «che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, presentano nei casi concreti – per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati – caratteri fondamentali comuni»

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