Intesa, focus sulla rete e sul risparmio

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Oggi il comitato strategie della Sorveglianza, martedì un Consiglio di Gestione e poi, giovedì, la doppia riunione dei due board per l’approvazione finale insieme ai conti, alla vigilia della presentazione agli analisti e poi alla stampa, in agenda per venerdì.
Per il nuovo piano industriale di Intesa Sanpaolo sono i giorni degli ultimi ritocchi, ma l’impianto della manovra pare ormai definito; nelle sue linee fondamentali, così come nelle differenze rispetto a quello presentato la settimana scorsa da UniCredit, che ha giocato d’anticipo. Finora nessuna bozza è stata distribuita ai consiglieri, ma soltanto alcuni documenti preparatori da cui – però – emerge che in Ca’ de Sass non si preannunciano maxi-svalutazioni: «Noi non dobbiamo pulire niente», ha detto ancora mercoledì l’amministratore delegato, Carlo Messina, a margine dell’esecutivo Abi, facendo intendere che da quel versante non sono previste particolari sorprese. Così come su quello del dividendo, per cui al 30 settembre erano già stati accantonati 624 milioni: difficilmente sarà più alto dei cinque centesimi staccati l’anno scorso, ma comunque dovrebbe esserci, insieme – anche se qui l’ultima parola arriverà soltanto la settimana prossima – ai 3 miliardi di plusvalenze sulla quota della Banca d’Italia, di cui Intesa è primo azionista con il 42 per cento.
I target 2016, le linee al 2018
Come nel caso di UniCredit, i conti 2013 di fatto rappresenteranno il punto di partenza per il piano, che dovrebbe avere durata triennale con una prima visione sul 2018; entro quella scadenza, il gruppo punterà a una redditività, in termini di roe, pari al 10 per cento, e la creazione di valore, insieme all’innovazione e alle persone, saranno i valori di riferimento.
Non a caso nella stesura delle nuove linee, il consigliere delegato ha coinvolto personalmente mille manager e raccolto i pareri di altri 6mila funzionari in un forum virtuale, e il documento che presenterà tra una settimana dovrebbe riprendere il filo – interrotto dagli scossoni micro e macro degli ultimi tre anni – di quelli del 2007 e del 2011, che proprio Carlo Messina aveva curato nei panni del cfo. In coerenza con quei documenti, pensati per dare un volto al gruppo dopo la fusione tra Intesa e Sanpaolo Imi, anche quello che si sta mettendo a punto sarà «un documento semplice», dice chi ha visto gli atti preparatori, che si baserà sugli scenari prudenziali dell’ufficio studi interno (+0,5 il Pil italiano nel 2014, +1% nel 2015) e punterà anzitutto a semplificare la struttura, a efficientarne il funzionamento e a motivare le persone, con una riarticolazione dei percorsi di carriera.
Il retail e il private
Priorità naturale, la Banca dei territori, a cui Messina dovrebbe conservare la delega ancora per un po’. Assimilata la ristrutturazione della rete, recentemente riorganizzata in sette regioni con altrettanti responsabili, si dovrebbe andare verso una nuova riduzione delle filiali (saranno 3.700 a fine 2014, poi scenderanno ancora), una riduzione delle 16 banche locali (ma non si annuncerà ancora quali) e un potenziamento della multicanalità: la business unit avrà l’obiettivo di erogare 150 miliardi di nuovi prestiti nell’arco del piano. Un target ambizioso, che tuttavia potrebbe non escludere alcune migliaia di potenziali esuberi – si parla di circa 3mila –, che però dovrebbero essere reimpiegati all’interno del gruppo.
Ad esempio nel risparmio gestito, altra priorità del piano: con i tassi previsti bassi ancora per lungo tempo, è dalle commissioni che ci si attende il contributo maggiore in termini di ricavi, dunque si dovrebbe puntare a cavalcare il trend di crescita delle masse gestite registrato nell’ultimo anno (+10% a 250 miliardi), ispirandosi al modello organizzativo a base di promotori e agenti di Fideuram anche per i banker della rete.
L’estero e i bad loans
Confermata la tradizionale autonomia del Corporate and investment banking e la cessione delle partecipazioni non core, gli ultimi due focus saranno sull’estero, dove il gruppo punta alla crescita per linee interne ed esterne, e sulla nuova business unit relativa ai non performing loans.
Un cantiere apertissimo, quest’ultimo, dentro al quale dovrebbe confluire il progetto di joint-venture con Kkr e UniCredit sui ristrutturati e la newco per l’acquisto in asta di immobili posti a garanzia di crediti della banca, un’operazione da alcune centinaia di milioni per evitare che i beni si deprezzino troppo lasciando spazio allo speculatore di turno; in realtà nella business unit dedicata agli Npl potrebbero finire anche altri dossier, in ogni caso l’obiettivo non sarebbe quello di isolare tutti i crediti a rischio in una bad bank interna come ha fatto UniCredit, ma mantenerli nel perimetro della Banca dei Territori prestando in quella sede tutte le “cure” necessarie.

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