La strada per recuperare competitività fiscale in Italia è ancora lunga

Per ora però i numeri dicono che il total tax rate resta il più alto in Europa (se si considerano Unione europea e gli Stati dell’area di libero scambio): il carico fiscale complessivo (imposte sui redditi, imposte sul lavoro e contributi obbligatori, imposte sui consumi) per le imprese misurato sull’anno d’imposta 2014 è risultato pari al 64,8% dei profitti commerciali. Il dato (comunque in leggero miglioramento rispetto al 65,4% dell’anno precedente) fa registrare una distanza notevole tanto dalla media comunitaria e dei Paesi Efta (40,6%) quanto dalla media mondiale (40,8%). È quanto emerge dal rapporto «Paying taxes 2016» di Banca Mondiale e Pwc diffuso ieri a Varsavia e presentato in Italia al ministero dell’Economia. Il rapporto monitora anche il numero di ore necessario a un’impresa tipo per completare tutti gli adempimenti fiscali (in Italia ne servono 269 a fronte di una media mondiale di 261 e una media europea di 173) e il numero di pagamenti effettuati nel corso dei dodici mesi (in Italia sono 14 a fronte dei 25,6 a livello globale e degli 11,5 europei). Considerando tutti e tre gli indicatori il nostro Paese si piazza al 137° posto in graduatoria su 189 Paesi presi in osservazione.
Una serie di precisazioni sono necessarie. «L’Italia ha registrato in 10 anni dal 2004 al 2014 un costante miglioramento degli indicatori con il carico fiscale complessivo per le imprese che è passato dal 76% al 64,8%, quindi si è ridotto di circa 12 punti percentuali» ha fatto notare Fabrizia Lapecorella, direttore del dipartimento Finanze del Mef, durante la presentazione. Lo sguardo, però, va rivolto anche al futuro perché l’ultima rilevazione, come anticipato, si riferisce all’anno d’imposta 2014 e quindi non può tenere ancora conto degli sforzi di riforma messi in campo negli ultimi due anni dal governo Renzi: a incidere in particolare, ha spiegato Lapecorella, le misure in arrivo con la legge di Stabilità 2016, dal taglio dell’Ires ai maxiammortamenti, ma anche quelle introdotte con la scorsa manovra, come l’eliminazione della componente Irap dal costo del lavoro, il credito d’imposta e il patent box. Un apporto notevole in termini di riduzione del total tax rate potrebbe arrivare anche dalla decontribuzione per i neoassunti. Però bisogna anche considerare che la rilevazione di Banca mondiale-Pwc è eseguita su un caso tipo (in modo da poter procedere a una comparazione tra i diversi Paesi): una Srl con 60 addetti che produce beni e non scambia con l’estero, per ricordare le caratteristiche principali. Quindi non tutte le modifiche potrebbero essere “intercettate” negli anni a venire. Tuttavia, come rimarca Fabrizio Acerbis, managing partner di Pwc tax & legal services (Tls), «la pressione fiscale e il costo di compliance non esauriscono i temi intorno alla fiscalità: la stabilità delle norme, la certezza interpretativa, i tempi del contenzioso, influiscono direttamente sulla competitività dei singoli Paesi. Un sistema fiscale fatto di norme stabili e chiaramente interpretabili ha effetti immediati sulla capacità competitiva, anche se non catturati nelle rilevazioni Doing Business».
Infine è utile “spacchettare” il dato sul total tax rate italiano perché sul 64,8% la componente maggiore è quella relativa alle tasse sul lavoro e i contributi: un segmento che vale da solo il 43,4 per cento. Anche se alla voce «contributi» viene considerato anche l’istituto del Tfr (una peculiarità del nostro Paese) che vale «7 punti», come ha puntualizzato lo stesso Acerbis.

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