La trasparenza si è tradotta in un investimento di circa 56 Miliardi
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Crif Credit Solution (la divisione di Crif specializzata nella consulenza, nel predictive analytics, nel risk management e nei software gestionali del credito) ha prodotto uno studio – curato da Marco Macellari, responsabile Service Line Risk & Regulatory (Practice Management Consulting di Crif) e rivisto da Giorgio Costantino, responsabile Practice Management Consulting di Crif – che ha analizzato gli effetti dell’introduzione dei criteri di valutazione dei crediti indicati dalla metodologia AQR e ha approfondito l’investimento complessivo per il sistema (bancario e non) delle strategie di mitigazione messe in atto dalle prime 15 banche italiane come conseguenza dei risultati dell’esercizio.

Nel contesto AQR, trasparenza ha significato innanzitutto introdurre alcune nuove modalità di analisi dei crediti standardizzate e basate su indicatori di natura quantitativa che, tra l’altro, introducono logiche a oggi non sempre considerate una prassi. Ad esempio, una controparte è considerata in difficoltà tale da rendere necessario un accantonamento specifico se il Dscr (Debt Service Coverage Ratio, ndr) è inferiore a 1.1 anche se non presenta arretrati o insoluti.
Con particolare riferimento all’analisi di questo indicatore di solidità finanziaria applicato al contesto economico italiano, lo studio condotto dal management consulting di Crif Credit Solution ha permesso di evidenziare i seguenti principali aspetti:
• le società di capitale con le “carte in regola” secondo questo indicatore sono una minoranza (nel 2013 circa il 42% delle imprese con fatturato maggiore di 50 milioni di euro e il 37% delle imprese più piccole);
• il fenomeno è causato solo parzialmente dalla congiuntura economica, configurandosi più come una caratteristica strutturale del sistema italiano caratterizzato da minore capitalizzazione e maggiore ricorso a forme di indebitamento a breve termine rispetto ad altri contesti;
• selezionando le imprese regolari nei confronti del sistema bancario (c.d. “in bonis”) e utilizzando la sola regola Dscr>1.1 per separare le imprese solide da quelle meno solide, le performance (ossia la regolarità nei pagamenti) nell’anno successivo a quello di osservazione dei bilanci evidenziano il fatto che le imprese solide hanno effettivamente tassi di insolvenza nettamente minori e più stabili.

 

 

La trasparenza è stata un elemento cardine anche nella presentazione dei risultati dell’esercizio da parte delle autorità di vigilanza e ha permesso di stimare i potenziali decrementi di Common Equity Tier 1 come effetto dei risultati dell’esercizio abilitando la “messa in opera” di strategie di mitigazione da parte delle banche di seguito descritte:
1- misure di rafforzamento patrimoniale – attraverso aumenti di capitale promossi dal sistema bancario italiano nei primi nove mesi del 2014 e sottoscritti dagli stakeholder per un ammontare totale pari a circa 15 miliardi di euro, che corrispondono a poco più del Pil di un paese sovrano come la Bosnia/Erzegovina;
2- deleverage dei crediti – nei primi tre trimestri del 2014 si stima (confrontando il valore consolidato degli impieghi anno su anno) una contrazione dei prestiti concessi rispetto ai volumi di fine 2013 per un importo complessivo di circa 41 miliardi di euro, anche in questo caso per dare una dimensione, pari approssimativamente al Pil dell’Uruguay: peggiori sono stati gli effetti (previsti) dell’AQR maggiore è stata la contrazione dei prestiti alla clientela che gli istituti sono stati chiamati ad effettuare;
3- accantonamenti su crediti – anche in questo caso le banche oggetto di AQR hanno saputo anticipare i risultati dell’esercizio. Comparando gli accantonamenti su crediti al 30 settembre 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, in questo caso le banche con un CET1 ratio post AQR superiore all’8% hanno diminuito i loro accantonamenti per complessivi 2,1 miliardi di euro, mentre le banche sotto soglia li hanno incrementati per complessivi 1,4 miliardi di euro (con un effetto netto positivo di 0,7 miliardi di euro).
L’analisi condotta da Crif evidenzia due importanti effetti:
• le 15 banche considerate sono state in grado di prevedere in modo piuttosto preciso gli effetti dell’AQR già entro il 30 settembre 2014, ovvero circa un mese prima della pubblicazione dei risultati da parte dell’organo di vigilanza: infatti, mentre la varianza dei valori base era alta (evidenziata nel circoletto blu nella figura qui pubblicata), dopo le misure di mitigazione si possono ben identificare tre gruppi di CET1 ratio rispettivamente all’8%, al 10% e al 12% (circoletti verdi);
• tutte le banche oggetto dello studio presentano un CET1 ratio adjusted superiore alla soglia stabilita al 30 settembre 2014 (8%) e ciò significa che tutte le banche avevano superato l’esercizio ben prima che i risultati venissero pubblicati.

 

Riassumendo, il solo esercizio AQR, prima parte del Comprehensive Assessment, prima ancora che ne venissero pubblicati i risultati era già costato complessivamente agli stakeholder delle prime 15 banche italiane oltre 55 miliardi di euro, frutto dei 15 miliardi di costi connessi alla sottoscrizione degli aumenti di capitale assommati ai 41 miliardi in termini di riduzione dei volumi di credito erogato, solo parzialmente compensati dai circa 0,7 miliardi di rettifiche di valore.

 

“Entrambe le analisi condotte – sottolinea Giorgio Costantino, responsabile del Management Consulting di Crif Credit Solution per l’Italia e per l’estero – evidenziano due aspetti fondamentali in chiave evolutiva per il sistema bancario italiano. Da un lato i criteri AQR introducono logiche valutative ‘oggettive’ dei crediti che permetteranno di aumentare la ‘cultura dell’analisi’ ponendo le basi per un miglioramento del rapporto banca-impresa fondato su criteri solidi e oggettivi (e possibilmente virtuosi anche per le imprese italiane). Dall’altro, affinché l’investimento rilevante sostenuto dal sistema possa realmente essere capitalizzato (e tradotto in reali vantaggi per il sistema di stakeholder nel suo complesso), sarà necessario tradurre concretamente i costi sostenuti in opportunità evolutive strutturali per il sistema bancario. Questo significa che le banche dovranno anzitutto ‘internalizzare il know how generato’ ma, soprattutto, integrare le metodologie adottate nei processi e nei sistemi di gestione del credito (concessione, monitoraggio e recupero crediti)”.

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