Le banche cercano di giocare un ruolo più attivo nella gestione dei Npl
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Le banche italiane stanno adottando un nuovo approccio che si va ad affiancare alle vie tradizionali del recupero del credito o della vendita degli Npl ai fondi specializzati nella loro conduzione. Sono infatti sorti di recente sul mercato nuovi veicoli messi in piedi da fondi di private equity insieme agli istituti bancari, «il cui obiettivo è dare ossigeno a quelle realtà aziendali che hanno problemi nell’onorare i propri debiti, sostenendone i piani di ristrutturazione e aiutandole così a rimettersi in marcia. Con la speranza di massimizzare il ritorno dell’investimento per tutte le parti coinvolte», commenta Nicola di Molfetta, direttore di Legalcommunity.it .
Masse pesanti
Il problema dei crediti problematici è rilevante in Italia. Il 30% delle imprese esposte verso le banche fatica a saldare i propri debiti. Il sistema bancario nazionale, a causa della crisi, si è ritrovato con 333 miliardi di non performing loan in pancia, ovvero sofferenze pari a quasi il 17% dell’ammontare complessivo dei prestiti. Tanto che il governo ha ora deciso di lavorare al progetto di una bad bank all’italiana, in modo da liberare il sistema da questo fardello e far ripartire i finanziamenti.
Sul mercato, intanto, il colosso statunitense del private equity Kkr ha annunciato la nascita del veicolo Pillarstone Italy con Intesa Sanpaolo e Unicredit (e la consulenza sul fronte operativo degli specialisti della ristrutturazione Alvarez & Marsal), Opera Sgr ha dato vita al Fondo Valorizzazione Imprese in un’operazione che prevede sempre il coinvolgimento delle banche, mentre Idea Capital Funds, il braccio finanziario di Dea Capital (De Agostini), e Hig Capital hanno lanciato il fondo idea Corporate Credit Recovery.
«Grazie a questi nuovi strumenti, la gestione dei crediti inesigibili, fino ad oggi effettuata solo seguendo una logica finanziaria, viene affidata a investitori specializzati in riconversioni e ristrutturazioni aziendali in grado di apportare anche equity, il che dovrebbe garantire nuove risorse alle imprese debitrici, che hanno ancora possibilità di crescita e sviluppo, e valorizzarne così gli attivi, agevolando il recupero del credito da parte degli istituti», spiega Antonio Lombardo, partner di Dla Piper e responsabile del finance projects e della practice di restructuring . «La finanza ha così l’opportunità di porsi al servizio di imprese industrialmente sane e della dimensione adeguata a fronteggiare le sfide di mercati ormai globalizzati».
Le banche italiane si trovano dunque oggi dinanzi a un bivio. «O vendono i crediti problematici ai fondi distressed , strada che continua ad essere la più percorsa tanto che sul mercato continuano a nascere nuovi operatori, o partecipano alla creazione di questi nuovi veicoli che permettono loro di occuparsi della gestione dei debiti, con la prospettiva, ancora da verificare, di incassare più risorse», spiega Marco Arato, partner di BonelliErede e responsabile del team Crisi aziendali dello studio.
«Le prospettive per questi veicoli sono rosee, perché offrono alle banche l’opportunità di valorizzare i crediti, e di alleggerire così i bilanci, avendo voce in capitolo nelle procedure di ristrutturazione di quelle imprese in difficoltà ma con potenzialità di rilancio».
Queste nuove realtà investono direttamente nella società in difficoltà, ristrutturandone, in coordinamento con gli altri creditori il debito e valorizzandone l’attività aziendale. «Gli interventi, sia nella forma di nuova finanza sia di ricapitalizzazione della società, sono favoriti dalla recente introduzione di interventi legislativi come la riforma della legge fallimentare volti a tutelare e incentivare gli investimenti in società italiane che versino in stato di crisi», spiega Emanuela Campari Bernacchi, partner dello studio Legance.
Novità legislative
Un’arma in più a disposizione delle banche per condizionare le scelte del debitore è rappresentata dunque dalle novità legislative introdotte quest’estate sul fronte delle procedure fallimentari. «La riforma – conclude Marco Arato – consente infatti a quei creditori che detengono una certa percentuale di crediti di presentare, quando lo credono opportuno, delle proposte alternative di concordato preventivo a quelle avanzate dall’imprenditore. Un nuovo strumento, dunque, per condizionare gli indirizzi strategici dell’azienda».

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