Le banche si stanno liberando dei crediti contratti nel settore energetico a un ritmo folle
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L’allarme viene dall’analista del settore James Wicklund, di Credit Suisse,secondo cui per tutto lo sforzo che facciano le banche nel tentativo di calmierare i mercati, sotto la superficie è il caos totale.

Il settore bancario ha paura di essere troppo esposto a un settore in piena crisi come quello energetico, dove i default aziendali, in particolare quello delle aziende americane operative nel gasi di scist, si moltiplicano.

Forse uno dei motivi per cui i salari orari medi fanno fatica a salire nonostante il miglioramento del tasso di disoccupazione è che come mette in luce Credit Suisse “si stima che 250 mila persone hanno perso il lavoro nel settore negli ultimi 18 mesi”.

Gli stessi dirigenti del settore energetico riconoscono che ci troviamo in un periodo di incertezza che non ha precedenti nella loro storia professionale. Tra le dichiarazioni fatte durante la stagione delle trimestrali che volge al termine, si possono citare: “Gestiamo i nostri affari una settimana alla volta, una divisione alla volta”, “Siamo in una fase di ribassi generazionale” e “Siamo molto pessimisti sulla prima metà dell’anno”.

Chi va ripetendo che questa è la crisi peggiore dagli Anni 80 per il settore energetico – e di riflesso per quello bancario – deve avere avuto la conferma della tesi dagli ultimi dati sulle attività creditizie. Per scongiurare di dover fare ricorso all’amministrazione controllata, le banche si stanno affrettando a vendere a grandi mani i prestiti concessi alle società petrolifere.

“È una fase negativa legata al credito e non più dovuta al surplus, secondo l’analista della banca svizzera. Mentre la domanda economica e il Pil continuano a calare, i livelli di debito aziendale sono vicini ai massimi di tutti i tempi se calcolati in rapporto al Pil“.

 

Nel frattempo le banche centrali hanno finito le munizioni. “La luce in fondo al tunnel si fa sempre più piccola e ora si bada alla propria sopravvivenza”.

La domanda trainata dai consumi sarebbe l’ultima salvezza, ma tarda a materializzarsi. E “ogni report pubblicato di recente nega la possibilità che ciò avvenga presto”.

“Con un ritorno della domanda e l’offerta che scende, un raggiungimento dell’equilibrio e un principio di crescita nel settore è inevitabile, certo. Ma non è così semplice che avvenga e rimane in dubbio quando” ciò potrebbe capitare.

La domanda da farsi allora è sempre la stessa. Ora che l’Arabia Saudita ha iniziato a fare concessioni, dopo l’accordo firmato con Venezuela, Russia, Qatar e forse persino Iran per lasciare i barili di petrolio prodotti invariati ai livelli di gennaio (un valore più di 280 mila barili al giorno superiore rispetto a dicembre) qualcuno ha iniziato a nutrire speranze.

Il problema è che sebbene il congelamento sia una notizia indubbiamente positiva, come ricorda l’analista, rende anche meno probabile una riduzione dei livelli di produzione – quello di cui il mercato avrebbe disperato bisogno in questo momento di crisi.

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