Le case discografiche italiane contro Cloudflare
C'è ancora chi offre, illegalmente, migliaia di contenuti multimediali da scaricare, infrangendo le leggi italiane ed internazionali.
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C’è ancora chi offre, illegalmente, migliaia di contenuti multimediali da scaricare, infrangendo le leggi italiane ed internazionali.

Ed ecco il motivo per cui, mesi fa, IFPI, l’organizzazione internazionale che rappresenta i vertici dell’industria discografica, aveva avviato una causa contro Cloudflare, che gestisce l’assegnazione di milioni di siti web al mondo, tra cui quelli usati dai pirati per offrire i suddetti torrent.

IFPI, con il supporto di FPM – il gruppo italiano antipirateria – e di FIMI – il gruppo nazionale italiano della rete IFPI, ha ottenuto dal Tribunale di Milano un provvedimento cautelare che impone a Cloudflare di “interrompere la fornitura di servizi agli utenti per l’accesso a tre siti BitTorrent in violazione dei diritti d’autore di cui AGCOM aveva precedentemente ordinato il blocco online“.

La sentenza tira in ballo gli intermediari, i cosiddetti “content delivery network (rete per la consegna di contenuti)”, affinché venga evitato che, attraverso questi ultimi, vengano aggirati i blocchi che un’autorità come l’AGCOM aveva già imposto. IFPI ha spiegato che i servizi di CloudFlare rendevano possibile agli utenti l’accesso ai siti web in violazione del copyright che erano stati bloccati da AGCOM, l’autorità italiana per le garanzie nelle comunicazioni. Questi siti sottraggono entrate ai servizi musicali ufficiali e al circus musicale in genere.

Ordinando a CloudFlare di interrompere l’accesso a questi siti, il Tribunale di Milano ha emesso un’importante sentenza che invia un chiaro messaggio ad altri intermediari online, i quali a loro volta potrebbero essere soggetti ad azioni simili. Il motivo è semplice: chiusi 3 torrent ne aprono altri 30, ma con la mossa odierna si lascia intendere che c’è chi lavora per sanzionare tutti i diretti interessati, a partire dalle aziende che permettono di “tradurre” gli indirizzi IP in siti navigabili (gli 1.1.1.1 in Mashable, ad esempio).

Viene dunque additato al content delivery network di aver permesso a terzi di sfruttare modalità che possano determinare un aggiramento truffaldino delle prescrizioni legali poste in essere nel nostro Paese. Così lo ha affermato Enzo Mazza, CEO FIMI: “Accogliamo con favore la decisione del Tribunale, che rafforzerà ulteriormente il programma di blocco dei siti in corso svolto dall’AGCOM in Italia, aumentando al contempo l’efficacia delle azioni esecutive attuate dai titolari dei diritti per proteggere i loro contenuti online“.

Cloudflare ha ora 30 giorni di tempo per mettere a punto le misure tecniche utili a impedire agli utenti di accedere ai siti identificati tramite il suo servizio DNS pubblico. In teoria, la stessa pressione legale potrebbe ora essere adottata verso altri noti DNS pubblici, come Google, estendendo l’impatto delle decisioni contro la pirateria digitale.

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