Le indagini bancarie possono essere estese ai conti degli amministratori e dei soci
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È questo l’orientamento che si sta da ultimo affermando nella giurisprudenza della Corte di cassazione e che pare alla fine allinearsi con quello delle Entrate.
L’Agenzia ha affermato, nella circolare 32/E/2006, che l’ufficio deve dimostrare che la titolarità del conto è «fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto» ed è tenuto a fornire la prova che i movimenti bancari risultanti dai conti sotto esame, formalmente intestati al terzo, sono in realtà attribuibili al contribuente. Anche il comando generale della Guardia di finanza si è espresso in termini analoghi nella circolare 1/2008.
La giurisprudenza della Cassazione non risulta, invece, univoca. In numerose sentenze è stato affermato che il vincolo coniugale o familiare con il contribuente, così come il rapporto degli amministratori e dei soci con la società a ristretta base familiare, sarebbe sufficiente a estendere i controlli anche sui conti bancari di questi soggetti. L’intestazione di questi conti correnti ai familiari rappresenterebbe un espediente “normale”, dal momento che il rapporto tra i soci e la società interessata è particolarmente stretto, tanto da realizzare una «sostanziale identità di soggetti» (si vedano le pronunce 26410/2005, 19609 e 22013 del 2006; 6743, 9588, 18868, 19213 e 20858 del 2007; 1452 e 15172 del 2009; 19493 e 21318 del 2010; 12624, 21420 e 23079 del 2012; 4904, 14137, 22514 e 25474 del 2013; 10386/2014).
In altre sentenze, invece, è stata affermata la necessità che l’amministrazione finanziaria provi – anche tramite presunzioni – la natura fittizia dell’intestazione o comunque la sostanziale riferibilità al contribuente dei conti intestati a terzi (oppure di singoli dati o elementi correlati). Questa interpretazione, anch’essa adottata in numerose sentenze (si vedano le pronunce 16837 e 27186 del 2008; 21454, 25142 e 25623 del 2009; 17387, 17390, 20197 e 20862 del 2010; 19888 e 20449 del 2011; 5849, 16345 e 21420 del 2012; 446, 3762 e 6254 del 2013; 2029/2014), sembra consolidarsi nella giurisprudenza più recente, ad esempio con le sentenze 428, 4152 e 4836 depositate nel 2015.
Quest’ultimo orientamento appare maggiormente condivisibile, in quanto si ritiene eccessivo imporre ai contribuenti l’onere di giustificare tutte le operazioni transitate sul conto del terzo (che non è, di regola, un soggetto obbligato alla tenuta delle scritture contabili) senza che l’ufficio abbia preventivamente dimostrato, anche in via presuntiva, che queste operazioni sono, in tutto o in parte, riconducibili ai contribuenti interessati. Appare comunque opportuno che la questione venga sottoposta all’esame delle Sezioni unite e che, in questa sede, venga privilegiata tale interpretazione.
Peraltro l’onere probatorio non dovrebbe risultare eccessivamente difficoltoso per l’Agenzia. Gli stessi giudici di Cassazione, al fine di dimostrare la riferibilità al contribuente interessato dei conti intestati a terzi, hanno ritenuto sufficiente provare i seguenti elementi:
l’assenza di disponibilità, da parte dei terzi, di redditi idonei a giustificare le movimentazioni dei conti;
la rilevante entità delle operazioni bancarie eseguite, delle quali non viene fornita idonea giustificazione;
la mancata risposta dei soggetti interessati alle richieste di chiarimenti formulate dall’ufficio;
il reperimento delle distinte bancarie del conto corrente dell’amministratore nei locali dell’azienda;
la circostanza che i conti correnti dei terzi non vengono movimentati dai soggetti intestatari;
la presenza di qualsiasi altro elemento indiziario idoneo a dimostrare l’utilizzo dei conti dei terzi per occultare operazioni commerciali effettuate dal contribuente.

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