Legno, con la mappa delle foreste parte il rilancio della filiera
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«Oggi non esiste una mappatura completa delle foreste italiane, con dati omogenei sulla consistenza del patrimonio boschivo e su come questo possa alimentare le varie filiere del legno. Il nostro primo atto sarà raccogliere i dati di enti pubblici e privati, associazioni di settore e università, validarli e metterli a disposizione di tutti in un sito che sarà online entro ottobre». Nicoletta Azzi, vicepresidente del neonato cluster Nazionale Italia Foresta Legno, riunitosi mercoledì per la sua prima sessione, racconta i primi passi dell’organismo, che vuole essere «molto operativo, con l’obiettivo non di rappresentare il comparto, ma di realizzare progetti nazionali ed europei per il comparto, oltre che di dare indicazioni al ministero», continua Azzi. L’organismo – indipendente, ma a cui il Masaf guarda con attenzione – è il primo a riunire tutti gli attori pubblici e privati del settore ed è costituito (e al momento finanziato) da 15 realtà fra cui FederlegnoArredo, Cna, Confartigianato, Fsc Italia e Pefc Italia, Cnr e varie università.

Lo stato di fatto

Se oggi solo il 15% circa dei boschi italiani è oggetto di un piano di gestione forestale, si capisce l’entità del salto necessario per colmare lo scarto fra desiderio – all’ultimo Salone del Mobile la premier Meloni aveva detto di voler puntare a una filiera del legno-arredo 100% italiana – e realtà. La situazione odierna è quella di una superficie forestale in crescita da decenni (circa il 37% del territorio), che si scontra con un tasso di prelievo del 24% dell’incremento annuo, contro una media europea del 73 per cento. A completare il quadro, la riduzione progressiva delle segherie e e delle infrastrutture per la gestione del bosco. «I cambiamenti da fare sono molti e richiedono anni – continua Azzi –, ma oggi leggiamo una volontà trasversale e abbiamo gli strumenti legislativi – la Strategia Forestale Nazionale e il Tuff (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali) – per riattivare la filiera».

A fronte di una dipendenza estera dell’80%, Giuseppe Fragnelli, dell’ufficio normativa di FederlegnoArredo, spiega che «potrebbe ridursi sensibilmente, ipotizziamo del 10-20% in 20 anni, se si iniziasse a riattivare la filiera e si incrementasse la pioppicoltura». Oggi oltre l’80% del legno trasformato dall’industria italiana viene utilizzato per scopi energetici, ma non perché questo sia di scarso valore e circa il 70% proviene da pioppicoltura (alberi a rapido accrescimento coltivati a turni di dieci anni). Fragnelli spiega che viene importato soprattutto legno di conifera, ma non perché sia quello migliore. Le ragioni sono il prezzo, la disponibilità e il basso costo di trasformazione della materia, che proviene dai paesi nordici e dell’est Europa e viene lavorata dai grandi impianti in Austria, Germania, Svezia, Finlandia. «Indipendentemente dalla specie legnosa, oggi la tecnologia consente di utilizzare per scopi industriali anche quelle di cui sono ricchi i nostri boschi: querce, faggi, castagni».

Le criticità 

«La burocrazia impatta fortemente sulla gestione del bosco, con legislazioni che variano da regione a regione e sono soggette a una vincolistica duplice: quella ambientale, legata al Regio decreto del 1923, e quella legata ai beni paesaggistici, per cui spesso diventa difficile gestire la foresta», continua Fragnelli. «Non aiuta la frammentazione delle proprietà: solo il 34% delle foreste nazionali è pubblico, con casi in cui pochi ettari di terreno hanno 70,80 proprietari diversi, spesso silenti. Questo complica gli interventi di gestione e di pianificazione». Quando si parla di gestione delle foresta, sarebbe sbagliato pensare solo al prelievo del legno: si tratta di prevenzione del rischio idrogeologico, captazione delle acque meteoriche, cattura di Co2. L’estremizzazione degli eventi climatici rende ancor più evidente la necessità di prendersi cura dei boschi e di proteggerli, e tra l’altro il decreto legge Omnibus su cui è al lavoro il Governo prevede di portare le pene minime per chi causa incendi da quattro a sei anni di reclusione.

Alla semplificazione delle normative dovrebbe seguire il rilancio del settore delle imprese di gestione forestale dal punto di vista formativo, e politiche che agevolino l’incontro fra domanda e offerta con azioni incentivanti che, per esempio, premino l’uso di legno nazionale nel contesto di bandi pubblici. L’industria ha poi bisogno di poter programmare la produzione e di conoscere esattamente quanti metri cubi di materia prima si possano ottenere da un dato territorio. «Infine – conclude Fragnelli – serve investire nell’arboricoltura. Oggi importiamo semilavorati da Cina, Ungheria, Francia. In circa 30 anni, le pioppicolture italiane si sono ridotte da oltre 130mila ettari a 45mila. Gli agricoltori preferiscono puntare su coltivazioni con ritorni certi, come quella del mais che dà diritto a contributi dalla politica agricola comunitaria».

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