L’insolito destino della Banca del Mezzogiorno
L’insolito destino della Banca del Mezzogiorno

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C’ è una cosa che alla Banca del Mezzogiorno, nella palazzina dell’Eur ribaltata da cima a fondo con open space e porte di vetro, tra i 280 dipendenti silenziosi al lavoro, non riescono a spiegarsi. Come mai un istituto pubblico che a dispetto di ogni aspettativa fa quasi 40 milioni all’anno di utile, il doppio di quanto previsto dal piano industriale, con finanziamenti erogati per quasi 1,3 miliardi, appaia così poco valorizzato dagli azionisti, cioè le Poste, cioè il Tesoro.

Il board congelato
Il presidente è rimasto Massimo Sarmi, che di Poste è l’ex amministratore delegato. Il consiglio d’amministrazione è scaduto in aprile: da nove mesi è in proroga, in primavera dovrà approvare il bilancio. Nello stesso board non siede più, dopo l’uscita di Andrea Montanino nel 2013, un esponente del Tesoro: oltre all’amministratore delegato Pietro D’Anzi (ex Barclays), ci sono Andrea Péruzy (fondazione Italianieuropei) e, per Poste, Paolo Martella e Carolina Gianardi. L’attuale capoazienda di Poste, Francesco Caio, nella nuova sede non si sarebbe ancora visto e al Tesoro la conoscenza di uomini e numeri appare minima. Bdm, questa sconosciuta.
Ora ci si chiede che fine farà la Banca del Mezzogiorno. Costituita nel 2011 su idea dell’allora ministro del Tesoro Giulio Tremonti, innestata sul Mediocredito centrale rilevato per 136 milioni da Unicredit, è stata sviluppata da Sarmi con diversi aggiustamenti di linea, ma sta marciando. Con la privatizzazione di Poste all’orizzonte, Caio però non intende tenerla né il Tesoro lasciargliela. La si vende, dunque? La si apre ai privati perché la quotino in Borsa? No.
L’orientamento attuale è staccarla da Poste e incorporarla in Invitalia. È l’agenzia che gestisce gli incentivi (anche a costo zero) per grandi imprese e micro-industria (1,5 miliardi erogati nel 2014). Dichiara (dati 2013) 836 milioni di capitale, attivo consolidato di 1,824 miliardi e debiti per 36 milioni. Ritiene perciò di avere le spalle larghe. Ma acquistare Bdm che alcune stime valutano sui 400 milioni e apporta il rischio di credito non è una passeggiata.
Diversamente da Poste, poi, Invitalia non potrebbe garantire rete distributiva e uguale accesso ai mercati . Business diversi, incentivi e credito. Per il Tesoro, l’operazione va intesa come valorizzazione di entrambe le società, che insieme sarebbero polo d’intervento nel Mezzogiorno per o sviluppo. Invitalia, tassello del sostegno pubblico alle aziende in crisi nei piani del governo, così avrebbe la sua banca. Già il 4 dicembre il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan dichiarò del resto in Parlamento che Poste e Invitalia avevano «contatti in corso per trasferire il capitale della banca dalla prima alla seconda».
I risultati
Ma D’Anzi sta resistendo alla diluizione, forte dei risultati superiori alle previsioni. L’utile netto 2014 di Bdm (stime previsionali) è di 38 milioni: il doppio dei 19 messi a budget, il triplo dei 7,1 del 2012. Supera addirittura gli obiettivi del 2016 (35 milioni) indicati nel piano d’impresa. Un buon risultato per l’azionista Poste, che in febbraio ha ricapitalizzato la banca con 232 milioni. La redditività (il Roe, ritorno sul capitale) è stimata al 10%: in leggero calo rispetto all’11,6% del 2013, ma il doppio del 2012 (la media del sistema bancario è sotto il 2%). I finanziamenti erogati sono quasi raddoppiati in un anno a 1.265 milioni, bissando le previsioni (700 milioni). Nella semestrale al 30 giugno il Tier 1, l’indice di patrimonializzazione, era al 40% (10-20% nelle grandi banche) e il cost/income , l’indice d’efficienza (costi diviso margini), al 39,5%, molto migliore della media bancaria.
Degli 1,26 miliardi erogati nel 2014, il 48% è andato a grandi imprese e infrastrutture nel Meridione; il 20% alle Pmi del Sud; il 29% in mutui alle famiglie (un centinaio di milioni su 366 a dipendenti di Poste); l’1,6% (20 milioni) in prestiti su cessioni del quinto dello stipendio al personale di Poste (rischio zero, margine alto). Tra i finanziamenti c’è, sì, la Fiat di Melfi (che ha annunciato assunzioni) e Pomigliano, ma anche la Salerno -Reggio Calabria, il porto di Palermo, la De Cecco sbarcata in Russia, l’Adler Plastic cha fa la monoscocca per l’Alfa 4C. Settimana scorsa i vertici di Bdm hanno visto Camicissima e Harmont & Blain.
Perciò c’è chi si chiede se non si possa valorizzare in altro modo questa banca, che «si sta comportando bene» secondo lo stesso Padoan. Per esempio, aprendole i 15 mila uffici postali (oggi ha accesso a 250), per distribuire prestiti alle famiglie.
Così potrebbe forse diventare fabbrica-prodotto per Poste, sostituendo in parte i partner Deutsche Bank e Agos. E sarebbe più attraente per un investitore privato, che potrebbe pagarla più dei 400 milioni attesi. Un’ipotesi è darla a una newco mista, con soci Poste (magari al 20%), Invitalia e uno dei fondi di private equity che sembrano interessati. Fantascienza?

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