L’investimento a impatto sociale rappresenta oggi un terreno estremamente fertile
assoprevidenza

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Nonostante un interesse già consistente, il social impact investing rappresenta però una tipologia di investimento in fase di consolidamento e non priva di complessità, che necessità quindi di percorsi di avvicinamento ben calibrati e basi tecniche solide.

 

Si pone in quest’ottica l’analisi realizzata dal Terzo Quaderno di Approfondimento “Investimenti a impatto sociale: analisi e opportunità” a cura di Assoprevidenza e Itinerari Previdenziali, fotografia circa lo stato dell’arte e i possibili margini di sviluppo ulteriore che si prospettano all’orizzonte per questa tipologia di investimenti. La pubblicazione, che costituisce l’ideale continuazione del workshop “Investimenti a impatto sociale: analisi e opportunità”, svoltosi a Roma lo scorso 22 giugno, s’inserisce quindi all’interno del dibattito sul tema, cui si propone di contribuire attraverso una chiave di lettura concreta e attuale. Se da un lato, infatti, prende in considerazione e s’interroga sugli aspetti più tecnici, dall’altro ne traccia i driver di crescita, le possibili criticità, nonché il valore potenzialmente assunto sia in ottica finanziaria che sociale.

 

Cosa emerge in particolare dall’analisi?

 

Ci troviamo nella fase del consolidamento, in cui si affinano i presupposti tecnico-culturali e si recepiscono gli stimoli affinché il filone degli impact investments giunga a compiere un salto di qualità e divenga obiettivo credibile delle strategie di investimento. In una sola parola, si stanno creando i giusti presupposti per proporsi al mercato e attingere a un pubblico di investitori ben più ampio di quanto già oggi si osservi, mettendo pienamente a frutto le grandi potenzialità che contraddistinguono questo segmento.

 

Da un lato, tuttavia, alcuni contorni di tipo meramente tecnico sono in fase di ottimizzazione: si pensi alla difficoltà tuttora presente nell’inquadrare il concetto stesso di impatto sociale e nel misurarlo quantitativamente, o alla definizione di un equilibrato rapporto rischio/rendimento atteso esplicitato in termini finanziari, o infine – e questo vale soprattutto per il nostro Paese – alla tradizionale diffidenza delle imprese e del privato sociale verso i mercati finanziari e la riluttanza ad “adattare” i loro profili di governance in maniera coerente con i requisiti richiesti dai mercati finanziari.

Dall’altro lato – e qui, forse, sta la sfida più impegnativa – l’esigenza di standardizzazione/ industrializzazione dell’investimento a impatto sociale e dei suoi veicoli, rendendolo replicabile su più ampia scala sia sul versante degli investitori sia su quello degli impieghi “sociali” e degli obiettivi perseguibili. Un passaggio, quest’ultimo, che sarà in grado di giovare al comparto in termini di efficienza delle iniziative sul fronte vuoi sociale vuoi finanziario, di livellamento dei costi delle operazioni finanziarie e di ulteriore attrattività del comparto verso nuovi operatori che oggi mantengono un interessamento tiepido.

 

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