Lo spagnolo Luis De Guindos è stato designato come vicepresidente della Banca centrale europea
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La designazione sarà oggetto di un parere non vincolante del Parlamento europeo e dovrà essere confermata il 22 marzo dal Consiglio europeo – l’organismo che racchiude al suo interno i capi di governo.

La scelta di De Guindos è anomala: per la prima volta dalla nascita della moneta unica un uomo politico occuperà una posizione chiave della Banca centrale europea. Quali sono le implicazioni di una scelta così controversa? Quali conseguenze potrà avere il ricambio che nei prossimi due anni interesserà i massimi vertici della Bce? Quali sono le prospettive future dell’area euro?

Tutte queste domande vanno inserite in un contesto particolare, quello della presunta o auspicata rinascita dell’Europa dopo la recessione. La congiuntura economica favorevole, a cui si aggiunge un rinvigorito asse franco-tedesco, rappresenta il terreno fertile dal quale, ci si augura, possano germogliare le tanto attese riforme dell’eurozona, dalla Garanzia Unica sui depositi al Ministro delle Finanze unico. Inoltre, la normalizzazione della politica monetaria e la fine del Quantitative Easing preludono ad una nuova fase politica ed economica piena di incognite.

La partita delle nomine per il dopo Draghi appare quindi un tassello fondamentale nella ricostruzione del mosaico europeo. In fin dei conti, non sarebbe una follia affermare che, a salvare l’Europa dalla crisi, sia stata la Banca centrale e, più precisamente, Mario Draghi. Per questo motivo bisogna guardare con attenzione alla dialettica che si sta sviluppando tra i vari paesi per la conquista dei massimi vertici della Bce: da qui ne deriva l’indirizzo della politica monetaria dell’eurozona, fondamentale per la salute della nostra economia.

La designazione di Luis De Guindos come vice di Draghi ha destato molto scalpore: un uomo politico alla testa della Banca centrale, organismo tecnico indipendente, è una scelta inconsueta. La scelta pare sia intrisa di varie dietrologie evocate dai commentatori nostrani, in una logica dialettica che vede come protagonista la Germania. Prima di andare a comprendere le motivazioni di questa scelta, è interessante analizzare il profilo di De Guindos, tratteggiato con cura da Luca Veronese sul Sole 24 ore: «Non è un tecnico ma nemmeno un uomo di partito. È da sette anni un ministro chiave del governo spagnolo […] è il ministro che ha gestito direttamente e in stretto contatto con l’Europa, il salvataggio e la ricapitalizzazione del sistema bancario spagnolo […] Falco e colomba a seconda del momento. Spesso tentando di assecondare, con Rajoy, la linea di Angela Merkel». Luis De Guindos, cinquantotto anni, in precedenza responsabile per Spagna e Portogallo di Lehman Brothers, è un cattolico conservatore, economista di formazione e abile nel muoversi tra i consigli di amministrazione delle banche. Non si è mai occupato di politica monetaria.

Come mai la nomina di un ministro? Le motivazioni dietro a tale decisione sono numerose. I giornali italiani parlano di una regia tedesca, finalizzata all’obiettivo neanche tanto nascosto della presidenza della Bce nel 2019 dopo la cessazione dell’incarico di Draghi. Mario Seminerio su Phastidio.net ritiene queste dietrologie, che trovano l’apice nella titolazione apparsa oggi su La Stampa, infondate: «Intanto, perché uno spagnolo? Perché la Spagna è fuori dal governing council della Bce dal lontano 2012. Se una cosa del genere fosse accaduta all’Italia, ci saremmo giustamente risentiti». La Spagna, insomma, aspirava legittimamente a ricoprire una posizione di peso. L’appoggio di Francia e Germania al ministro, però, può essere interpretato all’interno di uno schema che riflette una partita a scacchi la cui posta in gioco equivale ai futuri indirizzi della Bce. In questo caso alcune dietrologie sono da prendere in considerazione. Bisogna innanzitutto considerare che il risiko delle nomine non riguarda solo la futura presidenza Bce nel 2019: in scadenza vi sono anche le poltrone della Pres. Consiglio di vigilanza Danièle Nouy (12/2018) e della vicepresidente Sabine Lautenschläger (02/2019), dei due membri del Board Benoît Cœuré (01/2020) e Yves Mersch (12/2020), del capo economista Peter Praet (06/2019) e del membro del Consiglio di vigilanza Ignazio Angeloni (04/2019). L’obiettivo della Germania è la presidenza, mentre la Francia potrebbe accontentarsi di sostituire Cœuré con la neo vicegovernatrice della Banca di Francia Slyvie Goulard, puntando magari ad altre posizioni prestigiose, come la Commissione europea.

In questa partita a scacchi De Guindos, l’unico candidato dopo il ritiro del governatore irlandese Philip Lane, ha avuto l’appoggio della Merkel per due motivi: da un lato la designazione del ministro spagnolo serve a consolidare l’intesa tra Rajoy e la Merkel, dovuta alla felice performance economica della Spagna sotto l’insegna delle ricette di Bruxelles e constatabile, ad esempio, osservando l’approccio della cancelliera e di Bruxelles alla questione catalana; dall’altro, come scrive Tonia Mastrobuoni su Repubblica, «la scelta dell’ennesimo sudeuropeo per un posto importante in Europa spiana la strada a un candidato tedesco per il dopo Draghi: galateo vuole che si alternino il Nord e il Sud. O falchi e colombe». Per De Guindos vi era inoltre l’appoggio, come sostiene Ivo Caizzi sul Corriere della Sera, di Francia e Olanda, poiché «il governo spagnolo ha concesso il suo voto decisivo per far trasferire a Parigi l’Autorità bancaria (battendo Dublino) e ad Amsterdam l’Agenzia delle medicine (superando Milano)».

In questo gioco di intrighi, poco entusiasmante ma fondamentale per il disegno dei rapporti di forza in vista del rinnovo dei vertici Bce, l’Italia deve trovare un proprio spazio per non rimanere fuori dal comitato esecutivo dopo la scadenza di Draghi. I prossimi anni saranno infatti fondamentali per l’Europa, rimanere esclusi o essere marginali nelle decisioni di politica monetaria è un prezzo che l’Italia, governo stabile o governo instabile, non può permettersi di pagare.

A novembre 2019 scade il mandato di Mario Draghi. Non è questa la sede per tracciare un bilancio complessivo della sua esperienza alla presidenza della BCE, quale indiscusso protagonista a partire dal lontano novembre 2011 della politica monetaria europea. Qualche considerazione in relazione al suo operato e alle prospettive future della Bce è però necessaria, dato che non manca molto alla scadenza del mandato e le ipotesi che stanno emergendo sul successore sono da analizzare attentamente.

Come già accennato nel corso dell’articolo, l’ipotesi più accreditata vorrebbe un tedesco alla massima carica della Bce. Secondo un sondaggio di Bloomberg su trentaquattro economisti, il governatore della Bundesbank Jens Weidmann avrebbe su una scala da 1 a 100 probabilità pari a 84 di succedere a Mario Draghi, mentre nettamente distante gli è François Villeroy de Galhau, governatore della Banque de France, al secondo posto nella classifica con probabilità pari a 26. Weidmann è conosciuto in Italia come un super-falco, difensore per antonomasia della moneta forte e più volte critico nei confronti della politica monetaria espansiva di Mario Draghi. Per quanto le sue posizioni si siano ammorbidite di recente, considerati anche i benefici che il QE ha portato alla Germania, Weidmann ha votato praticamente contro ogni misura adottata dalla Bce negli ultimi tre anni e preme ora affinché si esca in fretta dal QE e si normalizzi la politica monetaria alzando i tassi di interesse. Il numero uno della Bce pare invece più prudente nella exit strategy: nonostante la crescita, teme infatti spinte deflattive dovute all’eccessivo apprezzamento dell’euro; inoltre, l’obiettivo dell’inflazione al 2% non è stato ancora completamente centrato. Per questo Draghi opta per una graduale riduzione dell’acquisto dei titoli di Stato e per un innalzamento dei tassi non nell’immediato.

Per quanto le decisioni della Bce vengano prese collegialmente, il ruolo del presidente rimane fondamentale ed è quindi importante capire chi sostituirà Mario Draghi. Considerato che la normalizzazione verrà da questi già avviata, forse Weidmann potrebbe essere una figura adeguata per portarla avanti. Più preoccupante, soprattutto per paesi fragili come l’Italia, sarebbe invece l’approccio di un ortodosso come Weidmann in caso di shock economico: ricordiamo l’errore di Trichet, il predecessore di Draghi, che in piena crisi economica alzò i tassi di interesse preoccupato di un aumento dei prezzi dovuto al petrolio, quando nel frattempo la Fed con Bernanke prima e la Yellen poi aveva attivato la leva monetaria e predisposto un piano di acquisto di bond sul mercato. Il whatever it takes di Draghi del 26 luglio 2012 ha portato ad una politica coraggiosa e radicale, più volte criticata dai tedeschi. I tassi di interesse negativi e il massiccio acquisto di titoli di Stato per 60 miliardi al mese sono misure che difficilmente avrebbe preso un falco ortodosso ossessionato dalla moneta forte. Qualche mese fa Draghi ha riconosciuto al QE la creazione di sette milioni di posti di lavoro negli ultimi quattro anni. Senza entrare nel merito, è innegabile che i tassi a zero abbiano stimolato la crescita e il QE abbia dato respiro ai paesi, come l’Italia, dall’alto debito pubblico. Come afferma il solitamente poco generoso opinionista economico del The Guardian Larry Elliott: «Growth forecasts revised up. Inflation forecasts revised down. Jobs being created. Take a bow Mario Draghi. Urged on by its proactive boss, the European Central Bank has achieved what looked impossible until recently: it has got the eurozone economy moving again».

È evidente quanto sia importante il ruolo della Banca centrale europea. Le nomine che nel giro dei prossimi due anni interesseranno i massimi vertici della Bce sono fondamentali per comprendere l’indirizzo che la Banca assumerà. Il futuro è pieno di incognite: la crescita del Pil mondiale è stimata quasi al 4% e la Fed ha iniziato ad alzare i tassi con conseguenti turbolenze nei mercati. La crisi pare superata, anche se vi sono alcuni problemi rimasti ancora irrisolti, come i salari e l’inflazione. I prossimi anni dovrebbero, si auspica, essere caratterizzati da una normalizzazione dell’economia e da un consolidamento della crescita. La fase è molto delicata e non vi è economista che escluda qualche tipo di shock all’orizzonte, considerata l’instabilità geopolitica e i repentini cambiamenti dovuti alle nuove tecnologie.

L’Europa deve rafforzare le proprie fondamenta per fronteggiare al meglio le sfide globali del domani. In tutto questo la Bce riveste un ruolo chiave: ogni nomina può influenzare l’indirizzo che la Banca prenderà ed è per questo necessario prestare la dovuta attenzione ai soggetti che si candidano a guidare la politica monetaria dei prossimi anni.

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