L’Ocse: «In Italia potenziale sistema bancario ombra»

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«Una potenziale forma di sistema bancario ombra». Nel suo rapporto sull’Italia, l’Ocse solleva forti dubbi sui Confidi, i consorzi di enti locali e associazioni di categoria che garantiscono il credito per conto delle piccole e medie imprese, osservando che «meno del 10% è sotto la supervisione della Banca d’Italia». L’istituzione guidata da Angel Gurrìa sottolinea inoltre che, nonostante il quadro legislativo del 2010 preveda la supervisione di Palazzo Koch sui Confidi di maggiori dimensioni, con l’iscrizione al registro degli intermediari non bancari e l’autorizzazione di via Nazionale, sia utile «un’analisi approfondita dell’efficienza del sistema dei Confidi poiché, continuando a focalizzarsi nell’offrire collaterale alle banche, i Confidi riducono gli incentivi a considerare strumenti di finanziamento a supporto dell’innovazione e della crescita delle Pmi maggiormente innovativi e legati a obiettivi specifici».

Insomma, da un lato il sistema è opaco, dall’altro ha avvantaggiato non poco le banche in questa fase, trasferendo il rischio di credito ai Confidi e da loro al Fondo centrale di garanzia gestito dal ministero dello Sviluppo Economico. E dunque, alla fine, sui contribuenti. Sono solitamente i Confidi con un ammontare di garanzia superiore ai 75 milioni di euro, tenuti a iscriversi al registro degli intermediari non bancari (ex art. 107 del Testo unico bancario), a utilizzare la controgaranzia del Fondo centrale. Il quale, nei primi cinque mesi del 2012 (ultimi dati disponibili) ha garantito 1,3 dei 2,6 miliardi di operazioni accolte.

Eurofidi, il maggiore ente italiano di questa categoria con finanziamenti garantiti per 2,5 miliardi di euro nel 2012 – 349 milioni nel primo trimestre 2013 – controgarantisce presso il Fondo di via Veneto il 78% delle erogazioni, oltre ad aver aumentato, sempre nei primi tre mesi dell’anno, il fondo rischi a quota 118 milioni di euro. Nota bene: nel 2010 era di 36,1 milioni. Il presidente, Massimo Nobili, spiega a Linkiesta: «Non siamo un sistema sommerso perché abbiamo accantonamenti, un capitale sociale e dei requisiti patrimoniali da rispettare. Certo, non tutti i soggetti sono vigilati. In Piemonte solo 4 Confidi su 23 sono monitorati dalla Banca d’Italia». I rischi maggiori, in altri termini, sono in capo ai Confidi minori, frammentati e sottopatrimonializzati. Sul ruolo di “alleggerimento” deglia accantonamenti delle banche, Nobili invece osserva: «Non tutte le imprese si affidano a noi, anche se nel primo trimestre abbiamo avuto un aumento delle garanzie del 21 per cento. Il nostro ruolo, avendo come soci i nostri clienti, è di tipo consulenziale: spesso il credit crunch avviene per motivi strutturali, come la sottocapitalizzazione o la mancanza di un business plan. Noi ci siamo anche per questo».

Gli operatori del settore individuano due fasi nel rapporto tra istituti di credito e Confidi: pre e post crisi. Nella prima le banche semplicemente garantivano un plafond a tassi agevolati alle associazioni delle imprese o degli artigiani, in una logica di convenzione. Nella seconda fase, con le difficoltà di rifinanziamento all’ingrosso, i Confidi hanno invece svolto un ruolo di cerniera nel consentire alle banche di risparmiare capitale da accantonare sui prestiti. Soprattutto quando le erogazioni sono garantite “a prima richiesta”. Il che significa l’impegno a pagare una parte del debito del cliente/associato – se la banca ne chiede il rientro – senza attendere il termine delle normali procedure di recupero nei confronti dell’impresa. Ad esempio: una banca concede un fido di 100mila euro a una piccola società, a fronte di una garanzia all’80% di un Confidi. Se la società in questione va in default, la banca può escutere subito 80mila euro senza aspettare che porti i libri in Tribunale. Risultato: non solo si risparmia capitale, ma non si è costretti a iscrivere il 100% della posizione dell’impresa nel novero dei crediti dubbi. Un meccanismo particolarmente comodo nel giorno in cui Mario Draghi ha ricordato, nella consueta conferenza a margine del consiglio direttivo, che le banche devono rafforzare il patrimonio prima di erogare credito all’economia reale.

Ambra Redaelli, presidente di Piccola Industria Lombardia, individua un vulnus dagli effetti paradossali nella filiera del credito: «Il trasferimento del rischio è un boomerang perché avviene a piè di lista: gli affidamenti dei Confidi si sono trasformati in attrattori di insolvenze in quanto le banche cercano di tenere in vita il più possibile le posizioni non garantite, mentre al contrario anticipano le insolvenze sui prestiti garantiti per escuterne subito le garanzie». Un modus operandi che ha una spiegazione ben precisa, nota ancora Redaelli: «In Francia e in Spagna il rientro non è a giudizio insindacabile della banca, come in Italia, ma è condiviso con i Confidi, parte attiva nella filiera. Ciò non solo crea più cultura d’impresa, ma non depaupera il Fondo di garanzia». Nel rapporto 2012 di Unioncamere sul sistema dei Confidi Lombardi solo 7 su 25 (partecipanti allo studio) «affermano di essere abitualmente coinvolti in tavoli tecnici con le banche per discutere e definire le modalità di trattamento e di ristrutturazione delle posizioni debitorie critiche».

Con il decreto Salva Italia, l’esecutivo Monti aveva rafforzato il Fondo con 400 milioni annui dal 2012 al 2014 – per garantire fino a 20 miliardi – ampliandone l’ammontare a 2,5 milioni di euro per ogni azienda, oltre ad innalzarne la soglia garantita fino all’80 per cento. Nel loro documento economico, i dieci saggi di Napolitano hanno poi caldamente consigliato una rifinanziamento pari ad altri 2 miliardi. Un ulteriore ampliamento di un sistema che, con i soldi del contribuente, agevola un sistema bancario che (dati Abi) allo scorso aprile presenta 127,7 miliardi di sofferenze lorde.

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