Se Veneto e Vicenza valgono Ubi

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Il recente esame europeo agli istituti di credito italiani, sulla strada che porterà all’Unione bancaria, ha evidenziato una serie di carenze di capitale che presuppongono, a partire dalla prossima primavera, la ripresa di un’opera di concentrazione del sistema. Il risiko non interesserà potenzialmente solo i due casi patologici emersi, Monte dei Paschi di Siena e Carige di Genova – entrambe alle prese con deficit di capitale, indagini della magistratura sulle precedenti gestioni con riflessi penali e ulteriori operazioni sul capitale alle porte – ma anche altri istituti.

La dimensione conta
Su una cosa infatti molti convengono: in Italia ci sono troppe banche e di modesta dimensione. Se si escludono Unicredit e Intesa, le uniche con uno standing europeo – che domani presenteranno i risultati trimestrali al 30 settembre – Ubi e Banco Popolare hanno una presenza semi-nazionale ma concentrata fortemente al nord – loro territorio di nascita – mentre gli altri sono poco più che istituti interregionali.
Non è però una questione geografica, men che mai all’epoca delle banche digitali, bensì dimensionale: di asset e di patrimonio. Così è tornato a galla, con prepotenza, il dossier sul valore da attribuire alle banche non quotate, che sulla strada dell’Unione bancaria europea sono due, la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. I due istituti di credito del Nordest sono cooperative per azioni, società in cui vale il principio del voto capitario (una testa un voto, indipendentemente dal numero delle azioni possedute) e soprattutto dove il valore della società è determinato una sola volta l’anno da una perizia, affidata a primari esperti del settore, ma assolutamente di parte, da cui discende il valore delle singole azioni in mano ai soci-azionisti. La questione non è marginale e, da questa, derivano una serie di osservazioni perlomeno curiose, ma a tratti allarmanti, che trovate riassunte nella tabella di questa pagina che comprende le banche italiane visionate da Francoforte (con esclusione di Iccrea, perché holding e di Barclays Italia, che consolida nella capogruppo londinese).
Parametri diversi
Il patrimonio netto della Popolare di Vicenza, al 30 giugno scorso, ammontava a 3,704 miliardi di euro, circa il 71 per cento di quanto si ottiene moltiplicando il valore delle azioni, 62,5 euro l’una, per il numero dei titoli in circolazione, circa 83,5 milioni. Veneto Banca, al 30 giugno scorso, aveva un patrimonio netto di 3,285 miliardi, pari al 74 per cento di quanto si ottiene moltiplicando il valore attribuito alla singola azione (39,5 euro), moltiplicato per i 112,3 milioni di titoli in circolazione. Al netto delle operazioni sul capitale successive al 30 giugno scorso, questa «capitalizzazione fatta in casa» fa sì che la Vicenza valga più del Banco Popolare, quasi quanto Ubi, poco meno di Mediobanca ( cfr. tabella ), che sono istituti di tutt’altra dimensione.
Veneto Banca si trova a valere più di due volte il Credito Emiliano, più del Banco Popolare e quasi il 30 per cento in più del Monte dei Paschi di Siena, che, per quanto in difficoltà, risponde ad altri parametri.
I numeri sono chiari. Nella tabella, alla colonna dedicata al rapporto tra patrimonio e capitalizzazione, appare evidente come Veneto e Vicenza siano gli unici casi di banche che «valgono» di più del loro patrimonio netto iscritto a bilancio. Ubi, una delle banche più patrimonializzate d’Italia, vale in Borsa la metà del proprio patrimonio netto, valore che è 1,45 volte la capitalizzazione di Unicredit e 1,21 volte la capitalizzazione di Intesa Sanpaolo.
Punti fissi
Si potrebbe obiettare sulla validità dell’assunto, ovvero che è il mercato a sbagliare – non sarebbe la prima volta – e che la perizia di parte è invece inattaccabile. Così facendo e tenendo fisso il valore patrimoniale, si otterrebbero risultati graditi agli azionisti, ma che il mercato non sarebbe pronto a riconoscere. Infatti, applicando il rapporto 0,71 della Vicenza a Ubi, si avrebbe come risultato che la Banca di Victor Massiah dovrebbe avere un valore di Borsa superiore ai 15 miliardi di euro rispetto ai 5,2 della scorsa settimana. Con il medesimo principio, Intesa Sanpaolo arriverebbe a 63 miliardi di capitalizzazione, quasi il doppio rispetto ad oggi e Unicredit addirittura a 68,9 miliardi, più del doppio di oggi. Valori d’altri tempi, da bolla del settore bancario.
Peraltro, si può anche applicare il rapporto di Ubi (2,025) ai titoli della Vicenza e della Veneto. In questo caso i titoli della Vicenza raggiungerebbero un valore di 21,90 euro; quelli di Veneto Banca un valore di 15,20 euro. Secondo i fautori del credito non quotato – principio condivisibile per i piccoli istituti locali e le Banche di credito cooperativo, assai meno quando le dimensioni diventano, appunto, europee – è una questione di principio. Ma talvolta, come cantava Enzo Jannacci, quando si dice che è per principio, è per i soldi. Gli stessi che molti azionisti di alcune banche popolari non quotate – tra cui Vicenza e Veneto – faticano a realizzare dalla vendita delle loro azioni, perché illiquide. Il problema si trascina da tempo, le assemblee della scorsa primavera e le ripetute lettere ai giornali ne sono testimonianza. Molti si sono voltati dall’altra parte, ma oggi una soluzione, europea o italiana, attraverso la Consob o le organizzazioni a tutela dei risparmiatori, andrebbe trovata.

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