«Subito un’intesa per scongelare il credito»

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Una bocciatura quasi mai genera una concatenazione di eventi positivi. Se poi i bocciati sono due (e addirittura sette i rimandati) e appartengono alla categoria degli istituti di credito, le imprese hanno davvero poche ragioni per stare allegre. E dopo i risultati emersi dallo stress test voluto dalla Bce, la situazione potrebbe addirittura peggiorare. Infatti, delle 25 «bocciature» certificate dalla Banca centrale europea, ben nove riguardano altrettanti istituti di credito italiani.
Il rischio usura
Nessun altro Paese dell’Unione Europea ha incassato uno score peggiore del nostro. Se sette banche si sono già ricapitalizzate in questi ultimi mesi, altre due, Mps e la Carige, saranno costrette a farlo nei prossimi mesi. «È evidente — afferma Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia — che a pagare il conto sono state e saranno soprattutto le imprese. Come è già successo in questi ultimi anni, l’aumento della patrimonializzazione degli istituti di credito ha comportato una forte riduzione degli affidamenti a danno soprattutto delle piccole e piccolissime imprese che, da sempre, sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità. Con il pericolo che molte attività scivolino verso la rete tesa dagli usurai».
Quest’ultimo è un tema più volte segnalato dalle associazioni di categoria: la percezione è che la gelata creditizia abbia indotto molti piccoli imprenditori a ricorrere a forme illegali di finanziamento portando poi nelle mani della criminalità organizzata diverse aziende. Anche se negli ultimi anni il numero delle denunce effettuate alle Forze di polizia e all’Autorità giudiziaria rimane ancora molto contenuto e non presenta variazioni di rilievo, le associazioni di categoria sono convinte che il fenomeno sia in espansione e che potrebbe «esplodere» in caso di un ulteriore giro di vite del credito.
Del resto in questi anni si è assistito a un duplice peggioramento dello scenario: oltre al credit crunch si è rilevata un’impennata delle sofferenze imputabili alle imprese. I livelli di insolvenza più elevati si sono registrati nel Nordovest (più 89,2%), nel Centro (+88%), nel Nordest (+82,8%) e nel Mezzogiorno (+72,6%). Dal 2011 al 2014 sono cresciute di 63,1 miliardi di euro (+83,6 per cento). E ad agosto di quest’anno le sofferenze ammontavano alla spaventosa cifra di 138,6 miliardi di euro.
Secondo i dati della Cgia, inoltre, dall’agosto del 2011 allo stesso mese di quest’anno, i prestiti bancari alle imprese italiane sono diminuiti di 89 miliardi di euro (- 8,9 per cento).
La trattativa
«Nella storia recente del nostro Paese — fa notare Bortolussi — non si era mai verificata una contrazione del credito alle imprese così vigorosa. La responsabilità della stretta creditizia che stiamo vivendo in questo momento non è ovviamente da addebitare solo alle banche. Purtroppo, molte imprese sfiancate dalla crisi, e sempre più in difficoltà, non sono riuscite a restituire i prestiti bancari ricevuti e ciò ha bloccato il mercato del credito. Un problema che il governo deve assolutamente affrontare, aprendo un tavolo di confronto tra l’Associazione bancaria e i rappresentanti delle categorie produttive».
Tra l’agosto del 2011 e lo stesso mese di quest’anno, la stretta creditizia si è fatta sentire in misura maggiore nel Nordovest (-10,6 %) e nel Centro (-10%) , meno a Nordest (-8,3%) e nel Mezzogiorno (-6,5%). È chiaro però che questi dati vanno interpretati: nel Sud la chiusura dei rubinetti del credito si fa sentire meno perché in quell’area le imprese arretrano, molte chiudono e altre falliscono. In un simile contesto diventa difficile programmare, investire sullo sviluppo e quindi chiedere finanziamenti. Gli imprenditori meridionali, spesso in banca non entrano nemmeno perché sanno che nelle loro condizioni il credito sarebbe utopia. Segnale ancor più preoccupante di un mondo produttivo ormai spaccato in due tra chi si salva e chi affoga (con quest’ultima schiera sempre più numerosa).
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