Per Antonello Giannelli, a capo dell’Associazione nazionale presidi, quella sul divario tra lo stipendio dei dirigenti delle scuole e quello dei docenti è una polemica pretestuosa e tendenziosa. Perché “confrontare lo stipendio dei docenti con quello dei dirigenti scolastici – argomenta – è un’operazione di grande scorrettezza intellettuale. Nel mondo sanitario, nessuno si sognerebbe di confrontare gli stipendi dei primari con quelli dei medici ordinari o dei dottori infermieri. I confronti vanno fatti a parità di mansioni e di responsabilità”.
Ma è la stessa Commissione europea, con il dossier sugli stipendi dei docenti e dei capi d’istituto pubblicato lo scorso 5 ottobre (Eurydice 2022 Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe) che a pagina 33 fa la stessa operazione. Paragonando le retribuzioni minime annue lorde dei capi di istituto rispetto agli stipendi di docenti con 15 anni di esperienza, con titolo di studio minimo, 2020/2021”. E anche in questo caso, dal confronto emerge che in Italia il differenziale tra le due retribuzioni è uno dei più alti d’Europa. “La differenza tra gli stipendi degli insegnanti con 15 anni di esperienza e quelli dei capi di istituto all’inizio della carriera può servire – spiegano da Lussemburgo – come idea di quanto possa essere attraente, in termini economici, la carriera del capo d’istituto per un insegnante”.
“I dirigenti scolastici italiani, non lo scopriamo certo ora, sostengono gravose responsabilità – incalza Giannelli – e sono a capo di organizzazioni molto complesse. Peraltro, sono spesso chiamati a supplire alle carenze di altri attori istituzionali come il recente periodo pandemico ha dimostrato ampiamente”. E poi aggiunge “gli operatori scolastici sono tutti, dal dirigente al collaboratore scolastico, pagati troppo poco. Altro che scuola al centro del Paese. I dirigenti scolastici – continua – sono portatori, peraltro, di responsabilità civili, penali e amministrativo-contabili di grande rilevanza nei confronti degli studenti, delle famiglie e del personale stesso”. Per questa ragione, quei 102mila dollari Usa annui (a parità di potere d’acquisto e comprensivi di tutto ciò che viene pagato ai presidi italiani) che scaturiscono dalle statistiche dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, agli stessi dirigenti scolastici nostrani sembrano una esagerazione.
Gli esperti di Parigi, per rendere confrontabili le retribuzioni (lorde) di capi d’istituto e docenti, operano in due modi: dapprima convertono in dollari statunitensi le retribuzioni annue e successivamente le omogeneizzano tenendo conto del costo della vita nei vari paesi. Paragonare lo stipendio di un preside australiano o finlandese a quello di un pari grado italiano senza tenere conto del potere d’acquisto delle retribuzioni sarebbe stato fuorviante. Per questa ragione i tecnici dell’Ocse operano in questo senso. E dalle tabelle emerge che i capi d’istituto italiani figurano tra quelli più pagati al mondo, mentre i docenti delle scuole che dirigono si piazzano in fondo all’ipotetica classifica, seguiti solo dai colleghi greci e da quelli dei paesi che un tempo gravitavano nell’orbita politica dell’Urss, con retribuzioni del 12% più basse rispetto alla media Europea e del 14% rispetto alla media Ocse.