Il tesoro svelato delle banche Banca Ifis fa shopping di crediti a rischio

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C’è un tesoro in banca e qualcuno inizia a tirarlo fuori dal caveau . Se n’è accorto per primo Federico Ghizzoni, ceo di Unicredit. «Fineco è una realtà straordinaria — disse qualche mese fa — ma pochi la conoscono fuori dall’Italia. È nostro dovere valorizzare compiutamente tutti i nostri asset». Detto, fatto. Da lunedì scorso Unicredit ha posto in vendita il 30 per cento della propria controllata Fineco, attiva soprattutto nel banking online e nel trading , una cosiddetta banca multicanale. Una «ipo» bancaria come non si vedeva da tempo: valorizzazione della società nettamente superiore ai 2 miliardi di euro, leadership in Europa tra i broker per numero di ordini eseguiti, 800 milioni in arrivo nelle casse della capogruppo.
Dimensioni
Per comprendere le dimensioni dell’operazione può essere utile un paragone: 800 milioni rappresentano l’importo totale dell’aumento di capitale, in corso, di Banca Carige. A Genova, 800 milioni diventano fondamentali per il futuro della Carige, a Milano Unicredit fa cassa per finanziare lo sviluppo del gruppo. L’offerta pubblica si concluderà giovedì prossimo, 26 giugno, ma già oggi si può affermare — al netto dell’opzione greenshoe riconosciuta ai coordinatori dell’offerta globale — come siano poche le banche che, sul listino della Borsa di Milano, valgono più di Fineco: sei soltanto ai valori della scorsa settimana, considerando la capogruppo Unicredit. Con una valorizzazione compresa tra 2,1 e 2,6 miliardi, Fineco si va infatti a collocare tra il Credem e la Bper, a un valore quasi doppio della Popolare di Sondrio, tra le quattro e le sei volte il Credito Valtellinese.
Un’operazione i cui esiti faranno riflettere, anche perché la riscoperta della Borsa italiana — che anche dopo la lunga corsa degli scorsi mesi rimane lontanissima dagli eccessi di Wall Street — potrebbe comunque dare il via ad alcune operazioni simili, talune già prospettate in passato. Se Unicredit riesce a far cassa valorizzando compiutamente Fineco, perché Intesa Sanpaolo non dovrebbe riuscirci con Fideuram? Non se ne vedono i motivi. E Mediobanca, non appena porterà in utile la controllata Che Banca! (dovrebbe avvenire nel 2016), perché non dovrebbe riuscire in un percorso simile? Peraltro, in direzione solo apparentemente opposta si inserisce il progetto di fusione di WeBank nella Banca Popolare di Milano. L’operazione, avviata la scorsa settimana e che si concluderà entro il 31 dicembre, prevede l’incorporazione della banca on line nella capogruppo che ne detiene già il 100% del capitale ed è finalizzata alla creazione di una banca multicanale volta a favorire il rafforzamento della presenza del gruppo Bpm sul digitale.
Caveau ricolmi
I tesori nascosti dietro lo sportello delle banche italiane sono diversi e non tutti pienamente valorizzati. Senza arrivare all’eccesso di dare fondo alle quadrerie e alle raccolte d’arte, come è stato suggerito da un socio di una importante banca italiana nel corso della recente stagione assembleare, i vari poli del risparmio gestito e delle assicurazioni rappresentano — quando non ci sono evidenze patologiche come nel caso del polo assicurativo di Carige — degli altri punti di possibile focalizzazione. Già in passato Intesa e Unicredit avevano lasciato intendere una possibile marcia di avvicinamento al mercato delle controllate Eurizon e Pioneer, ma non se ne fece nulla. L’operazione Fineco potrebbe ora riaccendere gli interessi. Nella tabella di questa pagina si prospettano una serie di confronti tra le potenziali società da quotare.
Percentuali
È interessante notare come Fineco, al momento, rappresenti solamente il 5,4 per cento della capitalizzazione della capogruppo Unicredit, il valore più basso tra quelli considerati. Eurizon arriva al 5,7 per cento di Intesa Sanpaolo, Fideuram addirittura tocca il 13,5 per cento. Cambiando fronte, Pioneer vale invece circa il 7 per cento di Unicredit e WeBank sfiora l’otto per cento della Popolare di Milano. Le prospettive fanno gola, perché con grossolana approssimazione, partendo dai circa 40 miliardi di capitalizzazione del gruppo Intesa Sanpaolo, si potrebbe valorizzare Fideuram vicino ai 5,5 miliardi di euro, molto più del doppio di Fineco. Sarà questa la strada che verrà intrapresa dai grandi gruppi italiani del credito? La focalizzazione sul core business predicata da tutti i top manager porterà necessariamente a una cura dimagrante delle strutture centrali e probabilmente a una focalizzazione su aspetti di redditività. Ma per arrivare a un collocamento in massa delle partecipate che si occupano di web banking o di raccolta e gestione del risparmio occorre, come pre-requisito, un clima economico e delle prospettive di sviluppo di cui per adesso si fatica a intravvedere il profilo.

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