Un nuovo diritto per il web
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A vent’anni dal debutto commerciale della Rete – e dopo che nel 2003 l’Onu l’ha definita «componente essenziale di una “società dell’informazione”» – per il Web è assolutamente urgente la definizione di un quadro internazionale, e internazionalmente condiviso, di regole. Dal diritto d’accesso alla tutela dei dati personali, dal diritto all’identità al (rischio di) trattamento automatizzato dei dati, la società dell’informazione deve oggi porre al centro del suo sviluppo la persona fisica, difendendola dalle profilazioni, da derive del potere pubblico e dagli abusi dell’enorme potere privato di chi «fa» la rete.
È questo il quadro di riflessioni che ha portato alla stesura della «Dichiarazione dei diritti di Internet», promossa dalla presidenza della Camera dei deputati – attraverso una Commissione istituita esattamente un anno fa – e che verrà approvata oggi a Montecitorio. Lo scopo, trasformare il testo di 14 articoli in una mozione in Aula ai primi di settembre, e presentarla poi all’Internet Governance Forum 2015 – che si terrà in Brasile a novembre – insieme a Sir Tim Berners-Lee, ovvero il creatore del Web che lo ideò ormai 40 anni fa.
Se la preoccupazione di fondo – e il presupposto – è il riconoscimento e la garanzia dei diritti di ogni persona – estendendo al soggetto “virtuale” le Carte fondamentali della civiltà giuridica – , il problema miliare è l’accesso alla piattaforma globale del web, dove oggi viaggiano praticamente tutte le informazioni, le transazioni e gli archivi dell’umanità. Da qui scaturisce il principio secondo cui «l’accesso a Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo come persona e come soggetto della comunità nella quale vive e opera» . Con una immediata conseguenza: che questo diritto deve essere reso effettivo dall’istituzione pubblica, per esempio in materia di digital divide, cioè di accesso a pari condizioni alla rete. Dopodichè la persona/soggetto, per poter sviluppare il proprio senso critico – cioè dar spazio alla propria “personalità – deve sapersi muovere nel “vuoto” digitale in modo «proattivo», distinguendo che cosa è attendibile da che cosa non lo è, ma soprattutto capendo che la Rete è un luogo di incontro di milioni di aventi diritto. Pertanto è indispensabile insegnare in primo luogo il rispetto degli altri e, subito dopo, il riconoscimento del diritto d’autore cioè di proprietà intellettuale dei contenuti.
Nella Dichiarazione trova spazio un altro principio portante del web, cioè la “neutralità della Rete” che non può essere assoggettata al controllo preventivo – oggi tecnicamente possibile – degli “smistatori” Internet service provider.
Un capitolo molto importante riguarda la tutela dei dati personali, messi fortemente a rischio dalla capacità degli algoritmi di tracciare ogni singola piega delle scelte – cioè del pensiero – di ogni singolo utente. L’aspirazione del regolatore è che ognuno possa sempre avere il controllo di ciò che la Rete sa – e fa – del suo Io virtuale, particolarmente se dietro alla rete ci sarà sempre meno un controllore «umano» e sempre più una somma di algoritmi. Un tema, questo, che porta a scenari da pre-polizia (dal famoso film «Minority Report») dove il riconoscimento della fisionomia delle persone, unito al network sempre più invasivo di telecamere pubbliche e private, rischia di classificare come «devianti» o «pre-delinquenti» inconsapevoli (e incensurate) persone. Paradossalmente la Rete ha però anche bisogno di molto anonimato, specie nelle situazioni in cui regimi politici oppressivi la usino per dare la caccia a dissenzienti, prima ancora che oppositori.
E poi ancora il diritto all’oblio (trattato dalla ormai famosa sentenza della Corte di Giustizia su Google Spain), la sicurezza in rete, l’intangibilità degli strumenti personali per l’accesso alla rete (pc, smartphone etc) diritto violabile solo per ragioni di giustizia e solo da un magistrato.
Fino al problema dei problemi: il governo della rete. Di fronte ad autorità nazionali disarmate dall’assenza di confini fisici nel web, al cospetto dei detentori di know-how in continuo sviluppo (e spesso sottotraccia) l’unica difesa/armonizzazione possibile è quella di un Regolatore internazionale. Che però, dovendo rispondere a bilanciamenti di enormi interessi finanziari e politici, rischia di nascere “spuntato”.
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