Unicredit teme l’effetto domino a causa della partecipazione libica

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Per Unicredit, Tamoil e Finmeccanica, partecipate libiche, si teme l’effetto domino dal caos imperante nel paese nordafricano. L’ex raìs Gheddafi lo aveva preannunciato: se mi cacciate i terroristi vi attaccheranno.

Mentre Renzi allontana il momento dell’attacco al paese, aumentano le pressioni sull’Italia perché intervenga nella sua ex colonia. Il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi ha sollecitato i membri dell’Onu ad adottare una risoluzione comune che autorizzi una coalizione internazionale a intervenire nel paese, dove prosegue l’avanza dei soldati dell’Isis nella costa settentrionale e la risposta del Cairo. Ieri l’Egitto ha infatti bombardato gli obiettivi dello Stato islamico nel paese.

La presenza sempre maggiore del gruppo dei violenti jihadisti islamici, che vogliono creare un califfato nell’area mediorientale, minaccia la stabilità della regione, nonché il commercio di gas da Tripoli e dalla Tunisia all’Italia tramite il gasdotto GreenStream.

Il caos in Libia mette in serio pericolo anche le attività delle imprese italiane partecipate libiche, come Unicredit, Tamoil e Finmeccanica, che malgrado l’aggravarsi della situazione hanno tuttora importanti relazioni d’affari e business, sotto varie forme, bancaria, della difesa, dell’energia
e delle telecomunicazioni.

Si va dall’esportazione di armi per Finmeccanica, al rifornimento energetico per Eni e al carattere azionario per Unicredit. Il gruppo bancario, primo in Italia per fatturato, il gruppo petrolifero ex sponsor di club di calcio e il colosso della difesa, sono tutte partecipate dalla Libia.

Il Giornale li definisce settori strategici: “Fondi e veicoli finanziari dello Stato libico vantano ancora oggi partecipazioni di non poco conto in società italiane o comunque operanti da noi”.

Il quinto azionista in ordine di grandezza di Unicredit, con il 2,64%, è la Central Bankof Libya. Quota alla quale si aggiunge uno 0,28% attualmente inpancia alla Libyan Foreign Bank. Complessivamente si parla di un 2,92%. Una partecipazione pesante, che mette qualche apprensioneall’istituto guidato da Federico Ghizzoni.

La Libyan Investment Authority, il braccio finanziario della Libia, vanta una
partecipazione rilevante del 2,01% in Finmeccanica, che è controllata dal ministero dell’Economia con più del 30% di capitale.

La partecipazione maggiore è però il 14,78% che Libyan Post Telecommunications Information Technology Company possiede all’interno di Retelit, società quotata a Piazza Affari che sioccupa di telecomunicazioni gestendo in Italia 7.700 chilometri in fibra ottica. Il gruppo LPT è il primo azionista.

Tamoil, società di stoccaggio e distribuzione di prodotti petroliferi
in Italia, fa capo al braccio finanziario della Libia tramite la holding olandese Oilinvest. L’azienda detiene una quota di mercato del 6,7% e vanta un fatturato consolidato di 5,2 miliardi di euro.

Le preoccupazioni sono giustificate e il mercato teme un effetto domino. Dopo l’intervento delle forze straniere per ribaltare il regime di Gheddafi in piena rivolta popolare, la Libia ha vissuto e sta vivendo un periodo di transizione estramamente caotico.

Il paese è distante anni luce dalla stabilità che le autorità internazionali auspicavano. La Libia, grande produttore di petrolio e gas, è un paese spaccato in due tra due parlamenti e due governi che non possiedono capacità governative e controllano solo una parte del territorio libico.

Il governo eletto nel giugno del 2014 risiede a Tobruk ed è controllato da un’alleanza tra forze laiche e fazioni autonomiste riconducibili alla Cirenaica. L’altro esecutivo a Tripoli è invece sotto il controllo delle variegate forze islamiste, con una preponderanza del partito legato alla Fratellanza musulmana libica. A complicare le cose, al nord ora è in corso pure l’avanzata dell’Isis, che ha preso piede proprio in una delle province dell’ex colonia italiana, Derna.

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