Tribunale Milano, 16 luglio 2015
Il Tribunale di Milano ha nuovamente preso posizione su due eccezioni, che ormai vengono quotidianamente rivolte agli istituti di credito con riguardo ai contratti di mutuo, ovvero quelle in punto usura e anatocismo.
Come noto, i clienti sostengono, da un lato, che la verifica del rispetto del tasso soglia dovrebbe essere eseguita sommando la misura dei tassi corrispettivi con quella dei tassi moratori e, dall’altro lato, che il piano di ammortamento alla francese comporterebbe indeterminatezza ed applicazione di interessi anatocistici.
Il Presidente della VI Sezione del Tribunale di Milano, con una articolata e ben motivata decisione, ha ribadito l’infondatezza delle citate tesi, illustrando ampiamente le ragioni – anche tecniche – del proprio dissenso
In primo luogo, il Giudice Unico ha osservato come sia concettualmente impossibile sommare il tasso convenzionale con quello di mora, atteso che il primo “rappresenta effettivamente il costo del mutuo (ossia il corrispettivo dovuto alla banca per l’erogazione di un prestito al cliente), e pertanto viene conteggiato sul capitale progressivamente residuo dopo il pagamento di ogni rata sino a che non venga integralmente restituito”, mentre il secondo “consente di conteggiare l’importo dovuto unicamente nell’ipotesi, eventuale e patologica, di ritardato o mancato adempimento, avendo funzione non già di costo del mutuo, ma di sanzione per la mancata restituzione. (…) I due tassi percentuali vengono quindi applicati a importi base totalmente differenti, conseguendone l’impossibilità logico-matematica di una loro sommatoria”. La tesi della sommatoria non trova neppure conferma nella sentenza n. 350/13 della Corte di Cassazione, spesso invocata dai correntisti.
Infatti, i giudici di legittimità si sono limitati ad affermare che il rispetto del tasso soglia riguarda anche gli interessi moratori.
L’errore tecnico nel quale incorrono i mutuatari è quello di sommare le percentuali dei tassi e di rapportarle alla quota capitale della rata tardivamente onorata, mentre – prosegue la dott.ssa Cosentini – “debbano piuttosto addizionarsi gli importi che a detto titolo (corrispettivo e moratorio) siano corrisposti. (…) La somma quindi non può che essere rapportata al capitale residuo – e impagato – alla scadenza di detta rata, atteso che è in relazione al capitale erogato che viene inizialmente pattuito il tasso corrispettivo degli interessi (intesi come costo del mutuo erogato), e ne viene verificato il rispetto della soglia d’usura, ed è in relazione a detto capitale (come ridotto grazie al progressivo rimborso delle rate) che vanno conteggiati, alla scadenza periodica pattuita, gli importi pretesi a titolo di interesse corrispettivo, eventualmente incrementati degli interessi moratori pretesi sulla rata sino a che rimanga impagata”. Aggiunge, dunque, il Giudice “parimenti infondata si reputa la modalità di conteggio del tasso effettivo di mora, quale risulta dalla relazione peritale integrativa prodotta dagli attori, là dove la relativa formula mostra di ricomprendere, ai fini dell’accertamento del superamento del tasso soglia, anche gli oneri connessi all’erogazione del credito, benché questi ultimi abbiano natura differente rispetto agli interessi moratori”.
Quanto al piano di ammortamento “alla francese” o “a rata costante”, il G.U. ha chiarito che lo stesso utilizza la formula matematica della c.d. “legge di sconto composto”: “trattasi di formula di equivalenza finanziaria, che consente di individuare la quota capitale da restituire in ciascuna delle rate prestabilite, così che la somma dei valori capitale compresi in tutte le rate del piano di ammortamento sia uguale al capitale mutuato, ma che non va ad incidere sul separato conteggio degli interessi, che risponde alle regole dell’interesse semplice, venendo conteggiato ad ogni rata sul solo capitale che residua dopo la restituzione di capitale effettuato tramite le rate precedenti”. Ne consegue che nessun indebito conteggio anatocistico viene effettuato.
Analogamente, non può parlarsi di indeterminatezza per il fatto che il tasso, pattuito su base annua, venga poi applicato su base mensile. Infatti, “ciò è imputabile al fatto che, secondo quanto esattamente pattuito tra le parti, il capitale avuto a prestito no sarebbe stato restituito a cadenza annuale, bensì a cadenza mensile; tale pattuizione, da un lato non trova alcun divieto di legge, e dal’altro impone che, ad ogni scadenza mensile, il tasso di conteggio interessi sul capitale residuo a detta scadenza venga rapportato a quella stessa frazione di periodo, ossia sia espresso con la identica periodicità prevista per i pagamenti. La suddetta pattuizione trova ragione nel fatto che per il mutuatario può essere preferibile dilazionare la restituzione su base mensile, anziché restituire un considerevole importo alla fine di ogni anno”.
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