Veneto Banca, consiglio in bilico

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Veneto Banca prende tempo e respinge al mittente le perentorie richieste di Banca d’Italia sull’azzeramento del board dell’istituto. Alzando un muro che vuole ribadire l’autonomia decisionale di Montebelluna. Il cda «fiume» di ieri, che aveva all’ordine del giorno non tanto il rinnovo di una parte del cda, quanto la nomina dell’intero consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e del suo presidente, la nomina del collegio dei probiviri e la determinazione del numero dei componenti del cda – come si legge nel documento inviato ai soci dal presidente Flavio Trinca e pubblicato in Gazzetta Ufficiale giovedì scorso – avrebbe dovuto prevedere le dimissioni dei componenti del board, conditio sine qua non per le nomine elencate, e avrebbe dovuto approvare una lista di nomi nuovi da sottoporre all’assemblea dei soci il prossimo 26 aprile.

Lista, la cui esistenza è confermata dall’operazione di convincimento e silenzioso “arruolamento” attuata nei giorni scorsi dal presidente di Confindustria Treviso Alessandro Vardanega, nella quale comparirebbero nomi di imprenditori, professionisti, accademici, non solo veneti, e di Francesco Favotto, direttore del dipartimento di Economia dell’università di Padova, indicato come futuro presidente dell’istituto.
Quello che è successo ieri, invece, alimenta il giallo sul futuro, o sull’epilogo, dell’attuale cda e in particolare dell’ad Vincenzo Consoli, e conferma da un lato l’acuirsi del rapporto negativo con la Banca d’Italia e dall’altro lo stallo in cui si trova Veneto Banca. L’ipotesi più plausibile è che la lista proposta dal cda e confezionata con l’aiuto di Vardanega venga presentata dieci giorni prima dell’assemblea come da statuto, quindi solo il 15 aprile, e che i componenti del board rassegnino le dimissioni solo in quella data, ma con valenza a partire dal 26 aprile, giorno dell’assemblea, per garantire l’operatività e la gestione della banca. A conferma di questo, la dicitura del secondo punto all’ordine del giorno dell’assemblea, che recita «nomina del consiglio di amministrazione».
L’istituto continua comunque a lavorare sulla filosofia stand alone, cioé sull’ipotesi di completa autonomia rispetto a fusioni o aggregazioni (in particolare con la Popolare di Vicenza), ipotesi sostenuta dalle imprese del territorio, dai sindaci che hanno fatto quadrato attorno alla banca e anche dalla politica. «La banca – è stato ripetuto più volte dai vertici – è solida e ben patrimonializzata, l’aumento di capitale da 500 milioni che affianca la conversione del bond da 350, annunciato nel piano industriale (e presentato nei dettagli proprio ieri, ndr) lo confermano». «Il piano traccia le linee guida di un percorso con cui Veneto Banca si propone di rafforzare il proprio ruolo di gruppo bancario autonomo – si legge in una nota –, leader nei territori di elezione, capace di fornire servizi di qualità e di generare valore nel tempo per soci, clienti e dipendenti».
Dai dettagli presentati ieri, emerge anche che l’istituto punta a raggiungere un utile netto di 221,9 milioni nel 2016 a fronte di un margine di intermediazione di 1,146 miliardi. Il 2013 per Veneto Banca si era chiuso con perdite per 96 milioni, un margine di intermediazione di 1 miliardo, un margine di interesse di 553 milioni e costi di gestione vicini ai 700 milioni. Inoltre, il consiglio di amministrazione ha fissato ieri il prezzo delle azioni da proporre alla assemblea a 39,50 euro, abbassandolo rispetto ai 42,50 euro attuali.

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