Voluntary disclosure a seguito di una successione ereditaria

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Se i beni esistenti all’estero (denaro, immobili, quote di società) sono di proprietà di un contribuente che li abbia ricevuti a seguito di una successione ereditaria tassabile in Italia, e non dichiarata al fisco italiano, occorre inevitabilmente valutare questa circostanza nell’ambito della procedura di voluntary disclosure che si intenda svolgere con riferimento a detti beni.
Lo ha confermato implicitamente la circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015 (paragrafo 4.2) quando, da un lato, ha affermato che, se vi è emersione di violazioni in questo ambito, «l’ufficio dovrà necessariamente attivare le conseguenti attività di controllo» e, d’altro lato, che, in considerazione della «piena e spontanea collaborazione del contribuente» e del fatto che la normativa della voluntary non consente affievolimenti per le imposte di registro e di successione, le sanzioni potranno tuttavia essere ridotte «fino alla metà del minimo previsto dalla legge» (ai sensi dell’articolo 7, comma 4, Dlgs 472/1997).
È dunque opportuno prospettare il panorama delle diverse situazioni in cui ci si può venire a trovare. Una istanza di voluntary disclosure può infatti essere presentata:
a) quando ancora non sono decorsi due anni dal pagamento dell’imposta principale di successione relativamente a una dichiarazione di successione bensì presentata in Italia, ma senza menzionare i beni all’estero;
b) quando ancora non sono decorsi cinque anni dalla scadenza del termine che gli eredi avevano per presentare la dichiarazione di successione (che dunque sia stata del tutto omessa);
c) quando sono decorsi i termini di due o cinque anni di cui sopra alle lettere a) e b) (si veda l’altro articolo nella pagina).
Nel caso a), nel quale ancora non sono decorsi due anni dal pagamento dell’imposta inerente una dichiarazione di successione presentata senza indicare i beni all’estero, occorre considerare che l’articolo 27, comma 3, del Dlgs 346/1990 (il testo unico dell’imposta di successione), dispone che, in presenza di una dichiarazione di successione incompleta, l’ufficio può procedere alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta mediante avviso notificato entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta principale.
In questa ipotesi, pertanto, se l’istanza di voluntary sia formulata senza aver prima registrato una dichiarazione di successione integrativa di quella presentata incompleta (e non si interpretasse la voluntary come richiesta di ravvedimento operoso), l’Amministrazione potrebbe pretendere, oltre che l’imposta e gli interessi, la sanzione in misura compresa tra il 100 e il 200 per cento dell’imposta non pagata (articolo 51, comma 1, d. lgs. 346/1990); se si applicasse il criterio della metà del minimo (articolo 7, comma 4, d. lgs. 472/1997) si avrebbe dunque una sanzione pari al 50 per cento dell’imposta non pagata.
Nel caso b), e cioè quando ancora non sono decorsi cinque anni dalla scadenza del termine per presentare la dichiarazione di successione del tutto omessa, occorre considerare l’articolo 27, comma 4, del Dlgs 346/1990, il quale dispone che se la dichiarazione di successione è stata omessa, l’ufficio può notificare un avviso di liquidazione entro il termine di decadenza di cinque anni dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione omessa.
Pertanto, se l’istanza di voluntary sia formulata senza aver prima registrato una dichiarazione di successione per sanare l’omissione, l’amministrazione potrebbe procedere all’accertamento d’ufficio (articolo 27, comma 4, del Dlgs 346/1990). Ipotizzando anche qui la non applicazione della disciplina del ravvedimento operoso, occorre valutare che la sanzione per l’omissione della dichiarazione di successione è stabilita in misura compresa tra il 120% e il 240% dell’imposta non versata (articolo 50 del Dlgs 346/1990); in questo caso, la metà del minimo (articolo 7, comma 4, del Dlgs 472/1997) è pari al 60% dell’imposta non pagata.
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